CUBA libri.Torna “Cimarrón – Biografia di uno schiavo fuggiasco” di Miguel Barnet

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Paoli Mejias: conguero, fai da te!

4. agosto 2010 – 15:403 Comments
Paoli Mejias: conguero, fai da te!

Chi ha talento naturale, tanta determinazione e un po’ di fortuna ce la fa a conquistare il mondo della musica e un po’ di  mercato. E tutto da solo, senza maestri e produttori. Parola di Paoli Mejias, uno dei tre congueros, assieme a Giovanni Hidalgo e Richie Flores, su cui ruota la grande scuola percussiva di Puerto Rico. Questo il succo della conversazione elettronica con il trentanovenne Mejias, artista che nonostante la giovane età ha già una carriera internazionale di quattro lustri. Ha lavorato in tutto il mondo con i grandi maestri del latin jazz e della salsa tra cui Eddie Palmieri, Tito Puente, Chick Corea, Danilo Perez, Kip Hanrahan, Paquito D’Rivera, Marc Anthony, Ruben Blades. Cinque anni fa ha scelta una propria via fondando il suo quintetto di afrocaribbeanjazz con il quale ha realizzato sinora tre album in autogestione. Jazzambia è l’ultimo cd pubblicato, una buona occasione per conoscere meglio il lavoro di questo talentuoso percussionista che divide la propria vita famigliare e artistica tra Puetro Rico e New York. Non è stato facile contattarlo, è un personaggio sempre in movimento  e con pochi schemi. Pertanto abbiamo deciso di rassegnarci e inviare le domande con la posta elettronica al suo manager-moglie Sarah Vogel. E dopo un paio di mesi dalla sua Isla del Encanto sono pervenute le risposte. Per la verità, molto stringate e spesso “non a fuoco”, diversamente dai colpi, dai pattern e dalle poliritmie che sa elaborare in modo ricco e puntuale su congas, pandero e djembé. Ascoltiamo, o meglio leggiamo, cosa ci ha raccontato.

Paoli, partiamo da lontano. Puoi dipingerci un tuo piccolissimo ritratto con due parole anche sul nome che ricorda un noto cantautore italiano?
Questi sono i miei connotati: mi chiamo Paoli Mejias Ramos, sono nato il 7 marzo 1970 a Rio Piedras, Puerto Rico.  Nella mia famiglia di origine non ci sono stati altri musicisti, io sono l’unico che si dedica al mondo delle note e per quanto riguarda il nome posso dirti soltanto che mio padre lo senti pronunciare in un film, gli piacque ed è per questo che me lo sono ritrovato nella carta d’identità.

Come e quando ti sei avvicinato alla musica? Qual è stato il tuo primo strumento?

Da quando ho l’uso della ragione ricordo che in casa mia si ascoltava molta musica di Rafael Cortijo con cui cantava Ismael Rivera, che hanno fornito interpretazioni straordinarie di plena. Quindi sono stato  influenzato da questa musica e ho cominciato a suonare quando avevo 8 o 9 anni alle parrandas navideñas, con panderos de plena assieme a miei amichetti del quartiere. Questa tradizione è legata alle celebrazioni del Natale e si va nelle case di persone conosciute cantando e suonando allegramente Vuoi sapere il significato di  parranda, pandero e plena? Parranda vuol dire arrivare di sorpresa in casa di amici e imbastire una piccola festa con strumenti tipici e canti popolari. Il pandero o pandereta è una sorta tamburello con una pelle di capra  e all’inizio si realizzava con materiali di recupero, come contenitori di formaggi. La plena è uno dei generi, con diverse varianti, più importanti delle musica popolare di Puerto Rico.

Nella copertina del cd Jazzambia tu stai ballando in mezzo ad un gruppetto di  donne anziane. Significa che sei cresciuto in un ambiente matriarcale? E tuo padre che ruolo avuto nel tuo percorso?

Le signore riprodotte in quell’immagine sono mia madre, mia nonna e mia zia a cui sono legatissimo e loro mi hanno allevato e dato affetto. Mio padre, purtroppo, è stato vittima di un assalto e venne assassinato quando io avevo soltanto cinque anni. Il brano “Hello Nany” presente nel mio primo album lo dedicai a lui. In realtà io ho scelto il mondo della musica senza rendermene conto, ero molto attratto dai tamburi che risuonava nell’ambiente circostante, e quando iniziai a suonare provai un’enorme felicità, senso di pace e immenso sollievo. Da piccolo ero molto timido e per me è stato difficile scegliere il mondo della musica  anche perchè non ho avuto padrini o zii che mi hanno aiutato, ho deciso quindi tutto da solo.

Si percepisce molta africanità nella tua musica,  e anche dagli strumenti che usi. Hai mai cercato di conoscere la storia dei tuoi antenati, da quale regione costiera dell’Africa occidentale furono strappati, il gruppo etnico ecc.?

E’ una domanda molto interessante ma non ho mai fatto ricerche e quindi non so esattamente da quale regione provenissero i miei avi. Però a Puerto Rico tutti siamo, in qualche modo, strettamente legati alle radici africane anche se non sappiamo più di tanto. Io comunque mi identifico moltissimo con la musica africana e con gli strumenti le cui origini affondano nel Continente Nero.

Dopo l’esordio nelle parrandas navideñas con la pandereta hai intrapreso studi accademici di percussione e parallelamente ti dedicavi ai ritmi della musica popolare oppure ti sei formato con i gruppi di strada, nelle feste o nelle “rumbitas”?
Io sono autodidatta, non ho mai frequentato scuole musicali di nessun genere. Quel po’ che conosco di solfeggio e di lettura musicale degli spartiti l’ho imparato per mio conto, e lo stesso discorso vale anche per lo studio dei ritmi. L’unico insegnante portoricano da cui ho preso qualche lezione è stato il signor José Ramirez sui tamburi batà e ritmi afrocubani.

Restiamo sugli strumenti: oltre ai batà quali strumenti sai suonare? E l’apprendimento dei toques batà ti ha spinto a imparare idiomi di origine africana della cultura yoruba, congo, abakuá, ecc.?
Rispondo subito all’ultima parte: mentre stavo imparando a suonare i batà appresi alcuni canti yoruba e palo congo, ma sostanzialmente in chiave artistica, pertanto non conosco le lingue relative, sono molto complesse. Strumenti? Suono molte percussioni ma quello principale è la conga o la tumbadora.

A proposito: il tuo set di base nei concerti?
Ovviamente le congas, poi bongos, timbales, pandero, djembé, chekeré, buleador, diun djun,

talking drum, udu e altri piccoli strumentini.

Torniamo un attimo alle culture di origine africana. Anche tu come tanti tuoi colleghi portoricani o cubani  appartieni a qualche sincretismo religioso?
Anche in questo senso vado per mio conto, rispetto le scelte degli altri, ma non aderisco a nessun tipo di religione.

Ma almeno la “Mecca” del ritmo afrocubano ti dovrebbe attirare, come ogni buon tumbador. Paoli, sei stato o andrai a Cuba? E cosa pensi dell’Isla Grande e dei suoi musicisti?
Ho suonato a Cuba con Seis del Solar, gruppo di latin jazz. Era il 1996 quando partecipammo al Festival Internazionale di Musica popolare Benny Moré, quella fu un’esperienza indimenticabile, feci moltissimi amici e mi sono divertito tanto con i musicisti cubani che uno giorno stavo quasi per svenire, giacchè si dormiva pochissimo, suonavamo sempre e in baldoria. Ricordo che a sorpresa organizzarono una rumba in mio onore in casa di un musicista italiano (di cui mi sfugge il nome) che mi sembra vivesse a Cuba. Mi piacerebbe ritornare in quei luoghi e spero che avvenga presto.

Puoi ricordare ai nostri lettori le orchestre principali con i quali hai suonato prima di fondare il tuo quintetto?

L’elenco sarebbe lungo ma tra i tanti artisti con i quali ho lavorato e a cui debbo moltissimo cito Eddie Palmieri, Tito Puente, Chick Corea, Seis del Solar, Dave Valentin, Hilton Ruiz, Danilo Perez, David Sanchez, Dave Samuels, Mark Antony, Luis Enrique.

Puerto Rico è stata sempre e soprattutto terra di timbaleros. Oggi con Giovanni Hidalgo in testa il tuo Paese sembra avere spodestato Cuba dal trono della tumbadora, un regno dominato dalla sua nascita dai cubani, da Chano Pozo a Tata Güines. A  cosa è dovuto questo cambio?
Senza togliere merito a nessuno, la mia opinione in merito è questa: ci sono molti congueros diventati famosi perchè hanno dato apporti notevoli alla musica, altri che la gente conosce ascoltando cd o vedendoli in televisione, ma in realtà esistono tanti altri ottimi percussionisti, non necessariamente di Cuba o Puerto Rico, il cui valore non è stato riconosciuto per varie ragioni. Purtroppo nel mondo della musica non basta essere un bravo strumentista ma bisogna lottare contro montagne di ostacoli, e molti musicisti non ci riescono restando così nell’anonimato. E’ vero, Puerto Rico ha un forte squadra di congueros.

Quali sono stati i tuoi idoli della percussione? E i musicisti di jazz o latinjazz preferiti?
Intanto Giovanni Hidalgo che è il numero uno della conga. Poi tra quelli che ho sempre adorato posso citare Tata Güines, Patato Valdés, Tito Puente, Ray Barreto, Changuito, Mongo Santamaria, Francisco Aguabella e El Niño Alfonso. I jazzisti che ho ammirato o ammiro sono Mario Bauzá, Dizzy Gillespie con Chano Pozo, poi quelli di sempre, ovvero Monk, Parker, Coltrane ecc.; attualmente mi affascina la musica di Miguel Zenón, David Sánchez, Gonzalo Rubalcaba e Pat Metheny.

E le tumbadoras che ti piacciono di più? Inoltre,  Puerto Rico è competitiva nella produzione di congas o percussioni afrocaraibiche?

Qui a Puerto Rico ci sono diversi artigiani che stanno fabbricando percussioni e di buon livello. ma io sono endorser di LP e quindi…

Parliamo di Jazzambia, il tuo ultimo album, cominciando dalla scelta dell’autogestione totale? E poi cosa significa il lemma Ambia nel titolo e, dovendolo catalogare, in che settore inseriresti questo cd?

In questi anni il mondo del disco è cambiato moltissimo, con i pro e contro legati al mercato, profitti ecc. Con i due cd precedenti  “Mi Tambor” (2004) e “Transcend” (2006) mi resi conto che ne vendevo più io durante i concerti dal vivo rispetto ai negozi di dischi. Pertanto ho deciso di produrre e curare tutto il resto. Faccio una distribuzione più contenuta, rivolgendomi solo alle persone che si sono dimostrate serie in passato, vendo i cd agli spettacoli e a mezzo internet, e va molto meglio. Presto vedrai che tutti gli artisti produrranno la propria musica: è il futuro del mercato libero.

Sul titolo dell’album: è un nome che abbiamo inventato io e mia moglie Sarah Vogel, che è anche il mio manager, perchè volevamo qualcosa di originale. A forza di pensare e mescolare vocaboli é uscita la parola jazz con Zambia, il paese africano, evidentemente perchè  in molti brani ho fuso ritmi portoricani come la bomba o caraibici con ritmi dell’Africa. Così ho pensato che quel nome  esprimesse bene il concetto del progetto. Non amo etichettare la musica ma in base ai criteri attuali Jazzambia lo metterei nell’ipotetico scaffale di jazz worldmusic.

Il disco è dedicato a “Mama Africa” però sono presenti nella tracce elementi di musica campesina di origine ispanica. Nell’album non c’è un’adeguata informazione che spieghi gli stili attraversati, gli ingredienti principali dei ritmi imbastiti ecc. Non credi che maggiori notizie aiuterebbero a far conoscere e apprezzare correttamente il vostro “menù” al pubblico (giornalisti compresi) europeo e nordamericano?

Hai perfettamente ragione:l’informazione è importantissima, ma succede che quando cominci a produrre un cd devi prendere in considerazione tante cose, tra cui lo spazio che puoi utilizzare, che ha un costo, poi c’è il problema della pirateria ecc. Oggigiorno le persone interessate possono ricercare i dati in internet e…

… capisco, ma non mi adeguo, perchè non semplifica le cose. Ma procediamo. Nel brano “Diaspora” c’è del freejazz: perchè e a chi è dedicato?
Alla musica africana e alle mie radici.

Prossime rassegne a cui parteciperai?
Soprattutto un tour in Centro America ma con clinics di percussione, poi da luglio fino a settembre ottobre andrò negli Stati Uniti.

Secondo te, quali sono i ritmi dirimpettai cubani che assomigliano di più a plena, bomba e aguinaldo?
Senza entrare nello specifico direi che stiamo parlando di culture similari, tutti hanno cose in comune come la miscela delle razze, stessa cosa la trovi nella Repubblica Dominicana.
Il tuo momento musicale più importante della tua carriera? E parlando di supremi desideri e sogni, c’è qualche musicista che vorresti avere al tuo fianco in una band?
Io sono un tipo raro, molto strano per queste cose. Io ho suonato con artisti di livello mondiale e ovunque, questo mi ha fatto vivere momenti felicissimi ma non come la soddisfazione nell’ascoltare i miei cd mixati e masterizzati dopo un anno di lungo e intenso lavoro. Per me è una gioia indescrivibile. Ho provato felicità e allegria anche quando ho lavorato con personaggi che non sono molto famosi ma che hanno una spiritualità e un’energia davvero rare, le vibrazioni di cui io ho bisogno. Invece ci sono dei musicisti geniali ma con i quali non suonerei mai anche se il compenso fosse miliardario, tanto sono arroganti ed egocentrici. Da qui è facile capire i miei sogni.

Ci sono club dove è più facile incontrarti quando non sei in tournée?
Io lavoro molto come ospite nei locali a Puerto Rico ma è molto facile sapere cosa sto facendo leggendo la mie pagine in Facebook, www.paolimejias.com, myspace e comunque rispondo sempre a tutte le e-mail che mi scrivono.

Quante ore dedichi allo studio e oltre alla musica quali sono i tuoi hobby preferiti e come trascorri i momenti liberi?
Quando posso cerco di esercitarmi il più possibile, dalle 4 alle 8 ore. Spesso succede che non riesco nemmeno a suonare un’ora, dipende dalle cose che debbo fare. Ad esempio ho comprato da poco un appartamento al mare e questo era uno dei miei grandi sogni. Così trascorro il tempo libero in spiaggia con una conga… ja… ja.. ja…, questo è il mio passatempo preferito, poi ballo un po’,  ma essendo io musicista e percussionista mi considero un cattivo  ballerino.

Progetti futuri?
Fare tournée in Europa con il mio gruppo, e mi piacerebbe tornare in Italia dove sono stato molte volte con Eddie Palmieri. Finora non ho ricevuto inviti ma ti sono grato se potrai segnalare il nostro progetto negli ambienti musicali adatti e sono certo che questa intervista  di “Percussioni” sarà utile in tal senso.

La presente intervista è stata pubblicata su BATTERIA (N.6 – maggio 2010)

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