CUBA libri.Torna “Cimarrón – Biografia di uno schiavo fuggiasco” di Miguel Barnet

Che bello tuffarsi nuovamente tra le pagine della Cimarrón- Biografia di uno schiavo fuggiasco dell’etnologo e scrittore Miguel Barnet di cui è appena stata pubblicata la nuova e bella edizione italiana a cura di Elena Zapponi, presentazione di Italo Calvino per i tipi della Quolibet edizioni di Macerata

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CUBA e dintorni, ieri e oggi: parla Eduardo Manet

26. novembre 2011 – 18:39One Comment
CUBA e dintorni, ieri e oggi: parla Eduardo Manet

Intervista esclusiva all’intellettuale cubano Eduardo Manet, che in gioventù condivise lotte con i fratelli Castro e da oltre quarant’anni risiede a Parigi. Negli anni Cinquanta soggiornò un periodo in Italia frequentando il mondo artistico romano. Da poche settimane questo simpatico intellettuale ha pubblicato il bellissimo romanzo L’Amante di Fidel Castro (Leone editore), già recensito su queste pagine.

Parlare con questo uomo è davvero un grande piacere, poiché  Manet, oltre ad essere un celebre drammaturgo e scrittore cubano, è un interlocutore brillante che si appassiona a tutti gli argomenti che gli sottoponi. E in particolar modo se si tratta di cultura cubana e di quel gruppo di giovani  intellettuali che hanno lottato contro Batista e con cui ha condiviso una parte del lavoro fino a quando decise di abbandonare Cuba. E’ un signore molto elegante, colto, ma con pochi peli sulla lingua. L’intervista telefonica a Eduardo Manet, residente a Parigi da più di quarant’anni, prende spunto dalla pubblicazione in Italia del suo ultimo romanzo, il bellissimo L’Amante di Fidel Castro.

Intanto ci vuol dire perché parla tanto bene l’italiano?

Ho vissuto quasi tre anni in Italia tra la fine del 1951 e 1959, periodo che ho trascorso in Europa per studiare teatro, drammaturgia, cinema. Non volevo tornare a Cuba in quella fase perché c’era la dittatura militare di Fulgencio Batista e così ho sposato una ragazza francese con la quale ho avuto un figlio. Eppoi volevo imparare a scrivere in un’altra lingua in quanto tutta l’America Latina era sotto dittature militari tranne il Messico. Così sono venuto a Perugia, Firenze, Roma, Venezia. Ero studente ma allo stesso tempo lavoravo come giornalista scrivendo articoli per giornali cubani di cui mio padre era condirettore come PuebloAlerta, si trattava di stampa democratica. In quel momento avevo molti amici italiani ma condividevo il tempo anche con miei connazionali come Tomas Gutierrez Alea, Nestor Almendros (nato in Spagna ma andato in esilio a Cuba)  e Julio Garcia Espinosa (che diventerà poi presidente ICAIC) che studiavano al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma

Ha vissuto i momenti importanti del neorealismo?

Sì,  nel 1951-1952, ancora molto vicini agli anni della guerra, e tutti questi ragazzi stavano a Cinecittà che era molta rossa, comunista. E non solo i cineasti ma anche gli elettricisti, i cameramen, tutti gli operatori, il PCI era molto forte in quell’ambiente: così io avevo acquisito molti amici comunisti con i quali andavamo spesso al cinema o a teatro ma ho vissuto per tre mesi in casa di un altro amico di Firenze, un vero duca che era fascista. Come dire non era tutto lineare. A ogni modo fu un periodo meraviglioso, ricordo che andai sotto la pioggia a vedere  Cronaca di un amore di Antonioni, Senso di Luchino Visconti, questa è stata una parte importante della mia gioventù in Italia.

A proposito di gioventù, lei l’ha vissuta in parte con i fratelli Castro, nello specifico legava molto bene con Raul.

Certo eravamo molto amici e la famiglia Castro che è una famiglia mafiosa dell’oriente cubano…

…Stop, mi scusi,  ho capito bene, mafiosa? nel senso di ricchi latifondisti ma non di criminalità organizzata, famiglia omertosa eccetera, o cos’altro?

Lo so che può suscitare perplessità tutto questo e io ho dovuto fare un libro per parlare di questa cosa strana. Partiamo da lontano per capire cosa voglio dire: il babbo di Kennedy era un mafioso, ossia amico di mafiosi e sappiamo bene che la mafia ha aiutato molto John Kennedy, anche se poi tutto è cambiato  quando Bob Kennedy ha fatto la lotta contro la mafia,  e per questo si dice che forse è stato ucciso dalla mafia. A Cuba succedeva lo stesso, il babbo di Fidel aveva lavorato con la United Fruit ed era divenuto ricchissimo partendo invece da condizioni povere. Biràn è un villaggio della famiglia Castro vicino a Mayarì ma io ho conosciuto Raul Castro frequentando la facoltà di Diritto all’Università dell’Avana e c’era anche Titón Gutierrez Alea (che diventerà poi il grande maestro del cinema cubano) mentre Fidel invece era già avvocato.

Nel novembre 1956 da Tuxpan salpò  il Granma, yacht di 20 metri su cui  si imbarcarono 82 uomini sotto il comando di Fidel,  lei dove stava esattamente in quell’anno?

Nel 1955 e 1956 ero in Italia e dopo ritornai in Francia cominciando a lavorare con la compagnia teatrale dell’attore-mimo Jacques Lecoq. Dopo il trionfo della Rivoluzione i miei amici al potere mi invitarono a Cuba per partecipare al primo concorso letterario della Casa de las Americas.

Lei era politicamente impegnato, era un idealista?

Io non ho mai voluto avere la tessera di nessun partito come ho scritto in alcuni miei libri ma ero molto vicino idealmente al Partito Comunista Cubano prima della Rivoluzione perché aveva al suo interno due tendenze, una molto stalinista guidata dal segretario generale  Blas Roca, e anche Anibal Escalante e una linea più aperta,  Juan Marinello. Io ero come un figlio adottivo di Carlos Rafael Rodriguez e di Edith Garcia Buchaca, che fu sua moglie,  entrambi erano professori, insegnavano per noi giovani l’economia marxista. Un giorno Carlos Rafael disse: “oggi voglio parlare di Marx non di quello che voi pensate Karl ma Groucho”, adorava i fratelli Marx.

La classe degli intellettuali si muoveva per coinvolgere i lavoratori oppure aveva un ruolo egemone elitario?

Dobbiamo dire la verità: nella decade degli anni Cinquanta tutto ruotava attorno alla Società Culturale Nuestro Tiempo, un centro culturale che raggruppava i più prestigiosi intellettuali tra pittori, musicisti, letterati, coreografi cineasti eccetera. Avevamo affittato una vecchia casa nel centro dell’Avana creando all’interno due piccole sale da teatro, un salotto, qualche ufficio. Durante la dittatura di Batista, Nuestro Tiempo era un  centro clandestino ispirato al partito comunista e la rivista che  stampavamo doveva dribblare la censura.

Sostanzialmente si trattava di una associazione di artisti delle varie discipline che mi sembra molto simile all’attuale UNEAC, o no?

Non a caso con il trionfo della rivoluzione, quando quel movimento si è sciolto, gran parte di quel progetto e di quegli intellettuali sono entrati a far parte poi dell’istituzione UNEAC, acronimo di Unione Nazionale Scrittori  e Artisti di Cuba.

L’emittente Radio Mil Diez in quegli anni era sostenuta dalla sinistra e in quegli studi si esibivano anche rinnovatori della musica i filineros (movimento del feeling)?

Esatto, e anche Celia Cruz ha cominciato a cantare nella Mil Diez, che era una radio popolare per divulgare la musica cubana, i nostri linguaggi, e invertire la tendenza perché in quegli anni  a Cuba dominava la musica nordamericana, tutti i loro grandi artisti erano di casa nei club dell’Avana, locali come il Sans Souci, il Tropicana, il Montmartre. Lì cantava Frank Sinatra, lui si esibiva in molti cabaret o casinò gestiti o controllati dalla mafia, era infatti amico di Meyer Lansky, padrone di questi locali dove allignava la malavita.

Parliamo del libro. Alcuni critici ritengono che “L’Amante di Fidel Castro” è stato un pretesto per raccontare la vicenda storica di Cuba rivoluzionaria e quindi l’amante (una donna che non ha un nome nel libro) è una finzione letteraria. Cosa risponde?

Che è tutto vero! Questa famiglia di Camagüey è esistita realmente e io ho conosciuto questa signora durante una mia visita a Madrid. Le spiego come andò: ricevo una telefonata da Anabel Rodriguez,figlia di Carlos Rafael, l’ex vicepresidente della Repubblica di Cuba, per dirmi che c’era una signora  molto per bene che avrebbe voluto invitarmi a pranzo, e così andai a quest’incontro. La signora aveva letto un mio libro (D’amour et d’exile), tradotto poi anche in Italia, e nel dirmi che le era piaciuto moltissimo aggiunse: “vorrei anch’io raccontarle una vera storia d’amore che ho tenuto nascosta finora”. E in quel momento io non sapevo che questa signora aveva il cancro. Siccome rispetto le persone, ho voluto mantenere il segreto del suo nome. Come racconto nel romanzo lei è andata veramente sulla Sierra Maestra: aveva diciassette anni, occhi verdi, bionda, bellissima e lì trascorse un breve storia amorosa con Fidel, ma lui l’ha dimenticata subito  come ha fatto sempre con tutte le numerose amanti che ha avuto. Lei era affascinata da Fidel ma anche della rivoluzione e non ha sviluppato l’anticastrismo che si riscontra a Miami. E’ amore e disillusione, comunque non ho voluto fare un metafora dell’amore verso la rivoluzione, o almeno in parte.

Lolita (Dolores), figlia di un comunista,  e l’amica (protagonista del romanzo, proveniente dalla borghesia) si ritrovano dopo molti anni a New York . Nonostante i diversissimi percorsi rimettono in campo il linguaggio della fraternità, della vera amicizia, del buon senso umano e…

Esatto, e quei sentimenti puri provati in gioventù resistono alle intemperie, alla politica e questo succede anche a me con scrittori, artisti e amici cubani con i quali ci rivediamo dopo anni qui a Parigi, alle fiere, ai dibattiti. Io mantengo contatti con tutti.

Come vanno le cose a Cuba oggi secondo i contatti che immagino abbia ancora?

La gioventù cubana è divisa a metà: una parte ritiene che la rivoluzione ha fatto cose buone e a questa gente, differenziandosi, si aggiunge chi  vuole andarsene non per problemi politici ma per vivere come gli statunitensi, o i francesi eccetera, perché credono che qui tutto è più bello, ma anche da noi c’è una crisi fortissima come lei ben conosce. Eppoi infine ci sono i figli di quei cubano-americani anticastristi di ferro che  oggi sono dei professionisti, dei medici ecc. e vanno spesso in visita a Cuba. Questo a mio parere significa che il dopo Fidel Castro è già cominciato, sta tramontando il regime.

Gli artisti cubani hanno sempre avuto dei canali privilegiati e andavano negli USA anche prima, ma certamente non come adesso dove c’è un andirivieni continuo tra Habana e Miami. Se poi pensiamo che Pablo Milanes va a cantare in quei luoghi dove era sempre stato boicottato, vuol dire proprio che le cose sono in movimento.

Chiaramente è come lei dice, e le racconto di un’amica ebrea newyorchese che ha avuto l’idea di organizzare dei viaggi turistici umanitari a Cuba e ne stanno sviluppando moltissimi ancora. Raul Castro ha detto che vuole un milione di turisti statunitensi a Cuba nel 2012. Un discorso che è legato all’embargo e che già Clinton voleva togliere all’inizio del Novanta ma poi quel Cessna di Miami che volò sull’Avana lanciando volantini anticastristi raffreddò tutto. Peccato, e lo disse Felipe Gonzales pubblicamente a Parigi. Comunque la signora Mitterand (che ora è morta) e la signora Hillary Clinton volevano aprire al dialogo da tempo. Ma c’è da tenere presente che nel Senato Usa c’è un nipotino di Fidel che odia il nonno e  fa di tutto per mantenere l’embargo. E’ figlio della prima moglie di Fidel Castro e viene da una famiglia molto ricca e potente, famiglia che ha dato due senatori Usa.

La sua critica al castrismo invece è precisa, ma equilibrata e priva di quell’odio eccessivo che si riscontra in altri personaggi o scrittori in esilio: da un lato, denuncia gli errori, i lati antidemocratici del sistema, dall’altro, evidenzia le conquiste sociali, i traguardi raggiunti da questa amministrazione di stampo socialista. Ma faccio un passo indietro. Come fa Batista da semplice Sergente a prendere i gradi di Generale?

Sì, è una cosa che sfugge spesso all’attenzione. Quando lui entra in politica era da poco diventato sergente eppoi…c’è stata un’autopromozione. Era un uomo molto intelligente, di un certo fascino, bella carnagione, aveva sangue indiano e lo chiamavano “el hombre”  (uomo) mentre Fidel era considerato il “caballo” (cavallo). Batista ha lottato contro il dittatore Machado  poi ha preso il potere militare nell’epoca del governo Grau San Martin,  è diventato colonnello e poi generale, così vanno le cose.

Nel romanzo si descrivono piatti e prodotti italiani consumati in questa ricca famiglia camagüeyana, e fin qui ci sembra credibile. Ma molto meno il fatto delle automobili Ferrari che corrono sulle strade di Camagüey, e soprattutto in quegli anni. E’ tutto vero?

No, le Ferrari sono fuori posto, è un incredibile errore, una forzatura, ma il resto ci sta tutto. Prima della rivoluzione si importavano molti prodotti dall’Europa, io adoravo l’uva, la pasta, e i cubani hanno sempre amato l’Italia, il cibo, il cinema, i cantanti.

Mentre scriveva questo libro- che è anche una piccola storia della vicenda cubana e in cui c’è un po’ della sua vita – lei ha sofferto o è stata una forma di liberare alcuni nodi che teneva dentro?

Voglio essere sincero: non soffro affatto quando scrivo, anzi per me è un piacere immenso e in questo caso ha avuto anche un valore psicanalitico perché parlo della psicanalisi, di Freud eccetera. D’altra parte durante i miei studi universitari avrei voluto anch’io diventare psicanalista ma il teatro, la drammaturgia e la scrittura sono state le passioni che mi hanno rapito.

Cambiamo di nuovo registro. Se ci fosse stato un referendum per eleggere il leader cubano: lei chi avrebbe scelto tra Fidel Castro, Che Guevara e Camilo Cienfuegos?

Io avrei preferito Camilo, era una persona meravigliosa. Dirò di più: per me Fidel non è cubano, per me lui è  come Franco, suo babbo era vicino alla famiglia del dittatore spagnolo. Il numero due di Franco, e amico di Fidel, e gli ha detto una volta “tu hai la tua tomba qui nella Galizia, vieni quando vuoi”. Fidel ha questo carattere molto forte, è un gallego, non gli piace la musica, non sa ballare, non ha l’humor che invece possiede Raul. Fidel avrebbe potuto essere Presidente della Repubblica di Batista, non aveva fatto nessun golpe. Batista è un cretino, ha fatto un golpe militare e così ci siamo trovati Fidel a comandare. Senza Batista con grande certezza Fidel diventava Presidente della repubblica. Camilo Cienfuegos aveva una personalità molto interessante dal punto di vista teatrale, o cinema, era un uomo molto popolare e la gente lo conosceva anche prima della rivoluzione.

E di Raul cosa mi racconta?

Raul era più simile a noi, era più un carattere europeo, più studioso, gli piaceva la musica, il cinema, leggere, le ragazze. Fidel invece era soltanto per il potere, gli piaceva parlare,  poi si è innamorato di una bellissima cubana di una famiglia benestante, che aveva un vincolo stretto di amicizia con quella di Batista.

Cosa può dirci della lotta tra Fidel e Guevara? Se il Che (nella foto) non fosse andato in Bolivia, due personalità così forti avrebbero potuto condividere il potere sapendo che il Leader maximo non voleva rivali?

Fidel voleva essere il numero uno; Fidel e il Che hanno avuto una discussione molto accesa per il celere discorso di Guevara al Algeri nel 1965 dove l’argentino-cubano parla il linguaggio del Che e questo non piacque a Fidel perché il Che rappresentava Cuba, alleata dell’Unione Sovietica. Il Che aveva preso un atteggiamento un po’ più maoista mentre Fidel era antimaoista, loro due hanno avuto discussioni molto tese,  ma come due fratelli, e io ho sempre creduto che nonostante tutto si rispettassero molto.

Durante l’invasione  controrivoluzionaria a Baia dei Porci pilotata dalla CIA lei dove si trovava?

Ero a Cuba in quel periodo essendo il direttore del Teatro Nazionale e mi occupavo di cinema. Tra l’altro facevo parte della milizia popolare cubana, da non confondere con il partito. In quei giorni stavamo facendo il doppiaggio di un film curato da un giovane dominicano, che si prese paura e tornò al suo paese. Noi continuammo il lavoro in studio, io ero in uniforme e con la mia mitraglietta per difendere la rivoluzione. Quello sbarco fu una stupidaggine dei nordamericani e in particolare di Eisenhower e Nixon che avevano tramato per far cadere Fidel (nella foto a lato), ancora prima dell’arrivo di Kennedy.

Quindi lei aveva un incarico importante nella Cuba socialista, ma decise di lasciare l’Isola oltre quarant’anni fa. Le ragioni principali ce le può dire?

Sono molti i motivi che non posso spiegare in poco tempo. Diciamo che io facevo parte della nomenclatura culturale e non politica, io sono sempre stato staccato dalla politica diretta, mi piace osservarla ma non farne parte. Lavoravo per la cultura, ho fatto film, e come direttore del Teatro viaggiavo molto all’estero, Mosca, Berlino, Sofia e la nostra rivoluzione piaceva perché eravamo idealisti. Quando ho sentito che Fidel voleva fare un partito comunista unico (anche se non sarebbe stato di tipo sovietico perché Cuba e URSS erano molto differenti) instaurare un dittatura, beh questo non mi andava più bene.

Prima che lei decidesse di abbandonare il Paese gli elementi della dittatura erano già presenti, e per andare all’estero serviva un visto e non era cosa facilissima. Lei come riuscì ad avere il permesso?

Io sono stato uno degli ultimi ad avere questi permessi. Nel 1968 se ne andò Ramon Suarez, direttore della Cinema cubano, che aveva curato la fotografia del film nolto bello La Morte di un Burocrata di Tomás Gutierrez Alea; poi partì Nestor Almendros in quanto gli avevano censurato un suo film. A quel tempo avevo già lasciato la direzione del Teatro e lavoravo solo per l’ICAIC e ottenni un permesso dal mio capo e amico, Alfredo Guevara, di andare a Parigi per sei mesi a rappresentare la mia opera teatrale Le Monache che ha avuto finora ben 34 traduzioni e in questi mesi viene proposta a Cuba, poi a Miami e grazie anche a quest’opera sono ancora qui in Francia, dove ho sposato una francese e ho un figlio. Ma tornando al tema, io non volevo andare in esilio poi si vede che Dio o qualche divinità ha voluto così.

A proposito, lei crede nella Santeria o in altri sincretismi religiosi?

Siccome mia mamma non poteva allattarmi io ho avuto una nutrice giovane haitiana che viveva a Cuba, era mambo, una sacerdotessa diciamo e quando avevo tre o quattro anni mi portava con sé a vedere questi toque de santo e vedere le persone possedute (ricordo una ragazza magra che incominciava a emettere una voce maschile) per me era teatro. Quelle erano manifestazioni molto sentite e non incontri per i turisti come avviene ora. Ho detto che era haitiana ma queste cerimonie erano momenti di santeria, dove la gente mangiava, beveva, si muoveva a ritmo e io ero l’unico bianco in mezzo a tutta questa popolazione di neri e mulatti.

Poi quando era gà un ragazzo io assieme a Cabrera Infante, Titón (Gutierrez Alea) andavamo a Regla, a Guanabacoa per vedere le pratiche afrocubane e eravamo amici del maestro venerato Fernando Ortíz, grande etnologo e studioso dei rituali afrocubani. Per noi  “el Sabio” era come un padre, molto simpatico e quando c’era un vero toque de santo lui ci invitava.

Bianchi e neri non è che potessero mescolarsi facilmente prima della rivoluzione, c’era discriminazione, c’era il Vedado con i divieti eccetera.

Certamente era così e anche perchè vi erano tanti turisti nordamericani. Nei club i neri dovevano entrare per la cucina o il retro, era terribile. In quei posti cantavano Sinatra, Dean Martin eccetera erano ambienti selettivi.

Lei non è più tornato a Cuba, sente nostalgia e dopo tanti anni qual è l’impedimento principale?

Guardi, ho parlato poco tempo fa con un amico che mi ha chiesto perché non vado a Cuba. C’è la prassi dei visti che mi infastidisce ma…. Obama e Raul hanno parlato di questi problem, di togliere l’embargo, e la Hillary Clinton ha detto ai cubani di togliere il loro embargo, cioè la pratica dei visti. Comunque nel 2001 c’è stata una prima apertura ,hanno pubblicato la mia opera Le Monache dalla bellissima rivista di teatro cubano stampata in Messico ma cubana e  nel 2003 dovevo andare a Cuba ma è successo che hanno incarcerato una ottantina di dissidenti e così è saltato tutto il progetto. Devo dire poi che avevo ricevuto un messaggio personale, un po’ misterioso, del ministro della Cultura Abel Prieto attraverso un altro scrittore che diceva: “se Eduardo vuol venire come turista possiamo prendere un caffè assieme all’Uneac “ e a me andava bene perché non avrei voluto nessun invito ufficiale.

Si comincia con un caffè come nei rapporti amorosi, no?

Già, già  è vero. E si ricordi che d’ora in poi per lei io sono Eduardo,  un amico.

Grazie infinite, di cuore, carissimo Eduardo di questa bella chiacchierata.

G.F.G.

Foto: del compianto e amico fotografo cubano Osvaldo Salas, tranne quella di apertura che ritrae Manet e quella del gen. Batista, entrambe prese dalla rete. Il murales di Camilo è dell’autore dell’intervista.

Disegno: del vignettista cubano Rafael Borroto Galbés

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