CUBA libri.Torna “Cimarrón – Biografia di uno schiavo fuggiasco” di Miguel Barnet

Che bello tuffarsi nuovamente tra le pagine della Cimarrón- Biografia di uno schiavo fuggiasco dell’etnologo e scrittore Miguel Barnet di cui è appena stata pubblicata la nuova e bella edizione italiana a cura di Elena Zapponi, presentazione di Italo Calvino per i tipi della Quolibet edizioni di Macerata

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Cuba: l’abisso di Guillermo Rosales, esiliato totale

19. febbraio 2012 – 17:29No Comment
Cuba: l’abisso di Guillermo Rosales, esiliato totale

La casa dei naufraghi (Fandango Libri – www.fandango.it) è una lettura a dir poco folgorante per la sua crudezza nel raccontare in modo chiaro lo squallore di case di ricovero private in cui viene confinato il protagonista William Figueras, alter ego dell’autore dissidente cubano Guillermo Rosales, scrittore, affetto da schizofrenia, suicidatosi negli Stati Uniti nel 1993 all’età di 47 anni.

Guillermo Rosales, figlio di diplomatici, negli anni Sessanta aveva viaggiato in Cecoslovacchia e URSS; all’Avana si distingueva come praticante giornalista e partecipava al clima di grande creatività rivoluzionaria tanto da riunire nella propria abitazione del Vedado nomi che sarebbero poi diventati delle figure nazionali importanti come il cantautore Silvio Rodriguez, lo scrittore Norberto Fuentes o l’intellettuale Víctor Casáus. Guillermito (William), ribelle a tutto e a tutti, fugge da Cuba nel 1979 e, via Madrid, l’anno dopo sbarca a Miami con una valigia piena  di edizioni rilegate dei Romantici inglesi e con il sogno nel cuore di potersi vedere pubblicate nella Grande America le sue opere censurate dal regime comunista cubano poichè morbose, pornografiche e irriverenti verso il PCC secondo il parere dei critici letterari fidelisti.

William a quindici anni aveva già letto Proust, Joyce, Miller, Hesse e Mann, ma presto si ammala di nervi, soffre di una grave schizofrenia che lo costringe ad essere ricoverato più volte,  prima a Cuba e poi a Miami. Qui, qualche mese dopo il suo arrivo tra i borghesi cubani della Piccola Havana, la zia gli consiglia come ultima alternativa una boarding home, a 300 dollari al mese, gestita da Curbelo, un paramedico speculatore che lucra sugli assegni sociali dei relitti umani rinchiusi in questa struttura disumana, la tomba di William e degli altri sfortunati naufraghi. Rosales non risparmia al lettore  alcun particolare del degrado che regna in quell’ambiente sporco, vomitevole, con puzze indescrivibili che impregnano le camere e i vestiti di scheletri viventi, uomini e donne rifiutati dalla società perbene nordamericana, società che l’esiliato William sperava fosse migliore rispetto a quella intollerabile di Cuba. William afferma “non sono un esiliato politico, sono un esiliato totale…se fossi nato in Brasile, in Spagna o in Scandinavia sarei fuggito dalle vie di quei paesi”. E questa ammissione toglierebbe alcuni facili pretesti a quanti invece hanno comunque voluto incasellare questo lavoro editoriale in chiave prettamente ideologica. Il testo merita attenzione per la dimensione universale che sa sa toccare con questa efficace prosa. La narrazione cruda, pulita e priva di fronzoli letterari di Rosales ha il pregio di scuotere il lettore fin dalle prime pagine con un paio di quadretti da incubo, di un’intensità tale che hai qualche dubbio se continuare a scendere con William in questo inferno latino per scoprire la vecchia decrepita Hilda (costretta a farsi penetrare da Arsenio, alcolista e vice di Curbelo), i ritardati mentali  Pepe e René,  Pino, il matto silenzioso, Reyes, il vecchio storto con un occhio di vetro che suppura un liquido giallognolo, l’omosessuale Tato, il nano Napoleon. Insomma, un posto senza luce né speranza. Un barlume di futuro, di ripresa della vita, di amore per William si affaccia invece per qualche giorno con l’arrivo di Francis, una inerme matta cubana dalle belle gambe che in gioventù partecipò alla campagna di alfabetizzazione sulla Sierra Maestra nell’Oriente di Cuba, esperienza rivoluzionaria che anche William contribuì a realizzare.

Un buon romanzo della diaspora cubana, ma non solo. Infatti è un racconto autobiografico sulla dimensione apocalittica della vita, su un mondo senza vie di scampo se finisci in quel girone dantesco.  Centoventi pagine che si leggono veramente d’un fiato poiché ti sembra di assistere a un mondo irreale, inverosimile, ma vero. Sono gli ultimi brandelli della vita di Guillermo Rosales, autore che si è suicidato nel 1993. Un libro e una storia verso cui non puoi restare indifferente. Come quando si parla o si ritorna da un viaggio a Cuba. A questo proposito, e siamo in tema, questo volume mi ha riportato alla mente una mia lontana esperienza su un luogo che Rosales ha calpestato anni prima: il Mazorra, l’ospedale psichiatrico situato nei paraggi dell’aeroporto dell’Avana  che tra la fine anni Settanta/inizio Ottanta era un vero fiore all’occhiello della Sanità a Cuba. Visitando quella piccola cittadella, dotata di ottimi impianti sportivi, restai folgorato vedendo decorosi pazienti con occhi sofferenti impegnati nei laboratori artigianali di legno e oggettistica, nelle attività sportive e in quelle artistiche tanto da poter vantare una big band di 50 orchestrali-pazienti (foto) che sfoderavano un repertorio di canzoni a ritmo di son, cha cha, mambo e bolero. Roba da restare a bocca aperta e da far invidia alle equivalenti e criticabilissime (posso dirlo) strutture italiane di anni fa. Rimango con il dubbio che Rosales (alla cui memoria va il pensiero di chi crede nella democrazia e nella giustizia) nella sua follia purtroppo non abbia avuto almeno qualche sprazzo di lucidità per vedere le differenze di trattamento ai malati mentali di un piccolo paese socialista, dittatoriale fin che si vuole,  come Cuba (sto parlando degli anni Ottanta, oggi non so dirvi come vanno le cose con precisione) e a quelli di più “fortunate” nazioni liberali e democratiche, come la Grande America o l’Italia dove ahimé… Bene, non dimentichiamoci che stiamo parlando di diritti primari e di rispetto per le persone. Se siamo d’accordo su questi fondamentali di una società civile, possiamo passare a discutere apertamente di regimi totalitari, di democrazia, di pluralismo, di diritti umani. Se invece questi ingredienti basilari vengono negati ai più deboli nei paesi ricchi e con libertà di parola,  be’ allora gli sputasentenze di professione dovrebbero riflettere più a fondo prima di giudicare gli altri e i loro sistemi imperfetti.

Grilli G.F.

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