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MARIA PIA DE VITO: tra canto jazz, ritmo e Brasile

7. aprile 2014 – 23:33One Comment
MARIA PIA DE VITO: tra canto jazz, ritmo e Brasile

La cantante-musicista napoletana ha capacità tecnico-espressive davvero strabilianti. E come jazz singer ha già toccato il vertice conquistando numerosi riconoscimenti. Questa intervista punta a far conoscere alcuni lati meno noti dell’artista e così Maria Pia De Vito ci ha raccontato le sue attenzioni per il ritmo, la musica latinoamericana, le percussioni ma soprattutto l’amore per il Brasile.

Ogni performance di Maria Pia De Vito è un grande viaggio che accompagna lo spettatore alla scoperta delle infinite possibilità sonore della voce e tra millelingue.  Al canto jazz  è affidato il ruolo guida per incrociare altri mondi, culture e atmosfere sempre diversi e lontani tra loro: melodia napoletana, canzone d’autore, folk, ballad, bossanova, choro  e persino l’utilizzo della voce come strumento musicale. Voce che fraseggia come sax, trombe, tromboni o che incalza i pattern ritmici disegnati con le mani sul suo corpo per arricchire il groove del duo o del gruppo che è in pedana in quel momento. Poiché il lato jazzistico e i relativi riconoscimenti di Maria Pia sono già stati raccontati su diversi mezzi di informazione abbiamo preferito indirizzare questa intervista su aspetti meno noti della carriera della versatile ed eccellente artista napoletana: cantante, musicista, compositrice, chitarrista, pianista e percussionista.

Signora Maria Pia, come vocalist  ha già raggiunto il vertice nel mondo del jazz.  Iniziamo questa chiacchierata parlando di ritmo e dell’uso delle mani e del corpo come a mo’ di percussioni durante i suoi concerti?

I miei trascorsi di percussionista sono molto lontani nel passato e si riferiscono a un momento abbastanza acerbo ma importante nella mia formazione, nel senso che quando avevo sedici anni e mezzo fui chiamata a cantare in un gruppo che eseguiva musiche del mondo, dall’Est europeo al Sudamerica e quindi in quell’occasione cantavo, suonavo strumenti a plettro e alcune percussioni.

Il nome di quel gruppo?

Il Tiglio, cioè il nome dell’albero sotto il quale i popoli dell’Est si raccoglievano per le loro feste, e in quel gruppo ho fatto un’esperienza meravigliosa: suonavo musica dell’Est europeo con tempi dispari e canzoni di musica latinoamericana. In realtà poi la voce ha preso il sopravvento su tutto nella mia carriera ma l’elemento ritmo per me è sempre rimasto molto importante.

Le percussioni le ha studiate da autodidatta e nello specifico quali suonava e suona?

La voce l’ho studiata con insegnanti di barocco e classica, ma tutto il resto della mia formazione musicale l’ho imparato da autodidatta. Suono il pianoforte, la chitarra, compongo, suono le percussioni,  insomma un po’ polistrumentista, ma il piano e la voce sono la mia specializzazione. Quali percussioni? Il darbuka, tamburi a cornice dell’Est europeo, piccole percussioni, campane, tamburelli nell’ambito del ritmo sudamericano. Dal 1981 poi ho scelto il jazz come mia musica d’elezione però nel corso del tempo mi sono aperta a tante forme di musica diverse e il ritmo comunque è stato sempre molto importante.  Ho fatto degli studi di musica indiana, di talas (cicli ritmici di un raga, forma melodica su cui il musicista improvvisa –  nda) per preparare il mio disco “Phoné ” e successivamente ho incontrato la grande cantante indiana Ramamani Ramanujan dalla quale sono stata due volte a Bangalore: lì ho approfondito lo studio della percussione, ma vocale. Dal 2007 in avanti mi sono ritrovata a lavorare in prossimità tra la musica brasiliana e il canto napoletano.

Cioè?

Iniziai un lavoro chiamato Napoli-Bahia,  un progetto che mi era stato affidato dall’omonima associazione che faceva capo all’Istituto Orientale di Napoli e all’Università di Salvador de Bahia. Nel 2007 mi esibii al rettorato dell’Università di Bahia e restai in Brasile per dieci giorni suonando con musicisti brasiliani, e in quell’occasione ho conosciuto autori come Dorival Caymmi, di cui sapevo poco, e anche altri artisti. Da lì in poi ho cominciato a scavare sempre più in profondità nella musica brasiliana d’autore.

Torniamo un attimo alle sue prime conoscenze con la musica latinoamericana.

Ho scoperto i suoni dell’America Latina quando avevo quindici anni  ascoltando gli Inti Illimani, che allora avevano una certa risonanza in Italia. Quindi cominciai a cantare le loro canzoni, a sentire quei ritmi con le danze andine, cilene e argentine, eppoi via via ho indagato meglio quel mondo ma soprattutto andando verso le sonorità del Brasile con approfondimenti su choro, chorino, samba e altre espressioni musicali.

Ma anche in ambito percussivo?

Poiché ho la fortuna di suonare con artisti di altissimo livello, ossia  pianisti come John Taylor, Danilo Rea,  Enrico Pieranunzi e Rita Marcotulli, lascio a loro il compito di usare le mani e mi concentro tutta sulla voce, che mi interessa anche come strumento di improvvisazione. Parlando di percussione debbo dire però che ho inglobato nel mio modo di cantare tanti elementi percussivi di varia estrazione, ma le principali direttive sono il Brasile, l’India e naturalmente Napoli.

Andiamo in Brasile. Idoli a cui si ispira?

In realtà io sono affascinata dalla scrittura di persone come Edu Lobo, Chico Buarque de Hollanda, Tom Jobim ma anche vecchi sambisti come Adoniran Barbosa e tanti altri che sarebbe lungo elencare. Però direi che non c’è un modello vocale, anche se ho un amore folle per Elis Regina, forse la cantante brasiliana che conosco di più. Comunque, ripeto, i riferimenti per me sono, da una parte, la musica folklorica e, dall’altra, la musica d’autore.

Lei suona chitarra e altri strumenti a plettro, ma che ne pensa di una corda come il berimbau?

Ho amato molto il lavoro di Naná Vasconcelos (foto) con Egberto Gismonti; il berimbau lo conosco e lo amo ma non mi è capitato ancora di lavorare con suonatori di questo strumento. Non pretendo di essere un’esperta o una filologa del Brasile, ma prendo quegli elementi che mi colpiscono, soprattutto melodici e ritmici, e cerco di integrarli alla mia musica. Gli ingredienti della musica brasiliana che mi colpiscono sono, da una parte le melodie di una complessità incredibile che fanno parte però della cultura del popolo e dall’altro e, allo stesso tempo, l’esplosione ritmica del samba autentico, non quello da carnevale tanto per intenderci. Quindi, come dicevo poc’anzi, cerco di mettere tutto questo dentro una mia poetica.

Incontri brasiliani che ricorda con particolare piacere?

Beh, me ne sono capitati di favolosi. Oramai collaboro da tre anni con il chitarrista-compositore Guinga (foto) con il quale è nato un rapporto musicale intenso: ho tradotto tanti brani suoi e lui adora le mie interpretazioni e il suono della sua musica in napoletano.

Ma come e dove è nato questo feeling musicale?

Mi invitò a suonare con lui in Italia e successe che mentre facevamo le prove gli proposi qualche canzone improvvisata in napoletano: apprezzò moltissimo dicendomi di lavorare su questa linea. Così mi sono chiusa in casa e in una settimana ho prodotto sei testi.  Dopodiché lui mi ha chiamata a suonare in Brasile: sono stata a San Paolo e a Rio in due diverse occasioni con brani tradotti in napoletano, e tra questi anche pezzi di Chico Buarque de Hollanda come Olha Maria, che adesso  si chiama Curre Maria ed è stato inserito in un disco che ho registrato. Grazie a questa iniziativa è cominciato poi un dialogo anche con Chico Buarque di cui ho già tradotto parecchie canzoni.

Che tipo di reazione ha avuto Chico Buarque per le sue opere in napoletano?

Molto positiva,  tanto che me le ha approvate tutte. Ha ascoltato le mie versioni riservandomi sempre delle parole molto carine che mi hanno davvero commossa. Io gli sottopongo sempre le mie traduzioni perché lui ha un amore fortissimo per le parole e per la sua  poesia,  per cui soffre se sente una parola che non è quella giusta. Quando una parola non funziona bene ci scambiamo anche due o tre mail per trovare quella più adatta. Per me queste sono occasioni di scambio e di studio incomparabili perché sto lavorando con artisti di livello altissimo che hanno la semplicità dei grandi.

Qual è, se c’è,  il denominatore comune tra Napoli e il Brasile?

Direi che sono diversi i punti che ci legano: c’è un sentire comune tra le due realtà abituate a sopportare di tutto, ma ansiose anche di riscatto. Poi ci accomunano lo spirito ironico,  l’accoglienza, l’empatia delle persone, la lingua meticcia. Potrei riprendere le parole di Caetano Veloso, il quale sostiene che napoletani e  brasiliani si assomigliano perché sono popoli impertinenti.  E potrei dilungarmi su altre vicinanze, sulla ricchezza armonica e melodica della musica brasiliana e di quella napoletana, sul vasto e variegato patrimonio ritmico e folklorico.  Eccetera…

Lei parla portoghese-brasiliano?

Sì, lo parlo, non meravigliosamente però mi faccio capire. Ma soprattutto sono in grado di lavorare anche col dizionario alla mano per cogliere le sfumature, la poesia dei testi.

Vogliamo citare un po’ di dischi?

Tra quelli incisi in Italia ricordo il primo cd che si chiama “Diálektos” (foto) in duo con il pianista inglese Huw Warren e lì vi sono alcuni brani brasiliani; ma anche nel secondo, “O’ Pata Pata” , c’’è  sapore brasiliano con la traduzione di Olha Maria, diventata Curre Maria, poi Vucella e altri pezzi. Prossimamente inciderò un cd con Guinga, oramai ho tradotto 12 canzoni e in più canto molti brani strumentali. Quella per me è una miniera d’oro perché Guinga lavora veramente sui ritmi popolari, ha una conoscenza profondissima delle forme compositive, nonché dello choro; quindi studiare quelle forme strumentali è come un corso accelerato.

Già, choro, chorino, samba: potrebbe dirci qualcosa in più di queste forme?

Rispondo in base alla mia esperienza e non da esperta: il samba è suonato in due quarti e ha la caratteristica dei colori profondi, dei passi adeguati alla danza; lo chorino mi sembra che nella sua forma melodica abbia delle tracce evidenti di incontro con la musica europea. Mi dicevano che ci sono delle assonanze tra lo choro e la forma melodica così articolata e danze europee  come mazurke importate dai moltissimi immigrati in Brasile arrivati da tutta Europa, anche del Nord-Est.

Cosa ricorda del concerto “napoletano” di San Paolo con Guinga?

In Brasile hanno un tale amore per la loro musica che sanno tutte le parole. Debbo dire che, per qualche assonanza tra il dialetto napoletano e il portoghese,  avevo la sensazione che il pubblico seguisse con grande attenzione il testo poiché la mia traduzione è quasi letterale  e quindi, ripeto, ho avuto la simpatica sensazione che mi capissero. E’ stato interessante ed emozionante perché andare a suonare in Brasile la loro musica con il dialetto  napoletano è davvero un’impresa; infatti avremmo potuto incontrare un bellissimo muro di incomprensione e invece no.

Un intreccio tra due culture…

… certamente, però l’intreccio funziona perché la melodia napoletana  è forse l’esempio più famoso che viene dall’Italia, è quello che viene riconosciuto come musica italiana e ha questa grande ampiezza, questa raffinatezza di scrittura. Nello stesso tempo il dialetto napoletano è buono anche per le danze, la tarantella, la tamurriata perché è pieno di parole tronche, che è un elemento ritmico importante e si confà molto bene a questo processo.  In fondo, se ci pensiamo un attimo, c’è sempre l’Africa: perché i melismi del napoletano vengono sicuramente dal Nord Africa.

Nessun desiderio di suonare qualche strumento a percussione brasiliano?

In realtà da quando sono tornata ho imbracciato la chitarra e da poco più di un anno la sto studiando con una certa intensità. Poi ho comprato un pandeiro e un tamborim e intanto comincio ad esercitarmi su quelli, ma sono ancora ai primi passi.

Mi permetta di dire che è innamorata follemente del Brasile. Ma vi è qualche altro paese dell’America Latina che la incuriosisce dal punto di vista musicale?

In realtà sono stata solamente in Argentina. Lì ho fatto qualche concerto con il sassofonista Javier Girotto, che rielabora la cultura del suo paese con accenti che sono vicini al tango da una parte mentre dall’altra parte ci sono le danze tradizionali, per cui quella è la musica che conosco un po’ di più e ne conosco la poesia, la malinconia e mi piacciono molto. Detto ciò, sono meno legata a quella fetta di musica latinoamericana che passa sotto il nome di salsa. Quindi le musiche caraibiche,  in particolare quella cubana pur apprezzandola moltissimo non è nelle mie corde come cantante, per cui la frequento di meno. Dovendo poi occuparmi di tanto altro  capirà che rimane poco tempo per approfondire tutto quello che vorremmo. Per cui, ripeto, la mia finestra aperta su quel continente, e dove vado tutte le volte che ho un momento libero, è il Brasile.

Negli ultimi trent’anni i musicisti italiani hanno fatto passi da gigante e, possiamo dire, che nel jazz italiano vi sono talenti in grado di competere con i maestri nordamericani. Ma rispetto alla musica brasiliana crede sia cresciuto il livello dei nostri musicisti di interpretare quei linguaggi sonori, quei ritmi, dal samba al baião, dalla bossanova al frevo?

In Italia ci sono parecchi musicisti che sanno suonare musica brasiliana: ad esempio, Barbara Casini sono a dir poco trent’anni che fa ricerca ed è molto brava nell’interpretare le sonorità brasiliane, è apprezzata e conosciuta anche in Brasile. Poi vi sono artisti più giovani, ben preparati, penso a Silvia Donati che canta meravigliosamente il genere brasiliano oppure a Cristina Renzetti che ha vissuto cinque anni a Rio de Janeiro. Queste sono persone che ho ascoltato più volte e posso dire che possono andare tranquillamente a suonare in Brasile o lavorare qui con dei brasiliani senza complessi di inferiorità. Per non parlare poi del clarinettista Gabriele Mirabassi (è lui che mi ha fatto conoscere Guinga) che suona spesso in Brasile e, se non sbaglio, assieme a Guinga, ha vinto il primo premio come miglior disco strumentale brasiliano. Gabriele ha lavorato in mille situazioni, è davvero straordinario e si può dire oramai che è brasiliano. Per concludere, aggiungo che ci sono musicisti brasiliani che vivono a cavallo tra il Brasile e l’Italia come ad esempio il chitarrista-cantante Roberto Taufic e ciò aiuta a migliorare le nostre conoscenze e a confrontarci più spesso.

Non abbiamo citato il lavoro di Bollani con la musica carioca…

E’ inutile dirlo, Stefano parla di per sé!

Sono previste sue incursioni in Brasile con qualche nuovo progetto?

Debbo incidere il disco in duo con Guinga, e lo farò presto. Eppoi sicuramente metterò a frutto le traduzioni su lavoro di Chico Buarque, ma sarà un passo successivo.

Grazie per questa interessante conversazione.

Gian Franco Grilli

Foto: dell’autore

un comentario »

  • mauricio mas ha detto:

    Ho ascoltato sue interpretazioni, una ottima cantante che dal vivo domina il palcoscenico con sicurezza.
    grazie per quanto ho potuto apprendere di nuovo da questa intervista.
    M.M.

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