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Il Jazz di Bosso-Guidi & Brotherhood

8. novembre 2019 – 00:39No Comment
Il Jazz di Bosso-Guidi & Brotherhood

Capita spesso al termine di un concerto di fare una faticaccia enorme per dare un nome a musiche e progetti di molti jazzisti. Non è stato così ascoltando al Torrione di Ferrara (6 novembre 2019) la “prima” di sei date del tour di The Revolutionary Brotherhood,  il progetto del quintetto co-diretto da Fabrizio Bosso e Giovanni Guidi e completato da Francesco Bearzatti, Eric Wheeler  e Joe Dyson.

Capita spesso al termine di un concerto di fare una faticaccia enorme per dare un nome a musiche e progetti di molti jazzisti. Non è stato così ascoltando al Torrione di Ferrara (6 novembre) la “prima” di sei date del tour di The Revolutionary Brotherhood (fratellanza rivoluzionaria), il progetto del quintetto co-diretto da Fabrizio Bosso e Giovanni Guidi e completato dal sassofonista Francesco Bearzatti (in sostituzione di Aaron Burnett) e da due giovani talentuosi afro-americani quali Eric Wheeler, contrabbassista di Washington e il batterista Joe Dyson, di New Orleans ma entrambi protagonisti del panorama jazz newyorkese. Siamo stati di fronte ad una perfomance strumentale di altissimo profilo. Abbiamo ascoltato una pagina di jazz esemplare, moderno, scaturito senza sforzo dalla virtuosa tromba di Bosso e dal caldo e a volte rabbioso sax tenore di Bearzatti e da un’energica sezione ritmica coordinata da un validissimo Guidi, che per l’occasione, a nostro avviso, si è mosso con i codici basilari del jazz mainstream. Tra l’altro, questa dimensione ha consentito al versatile artista umbro di liberare una ottima tecnica pianistica, che invece non sembra emergere a prima vista con alcuni suoi progetti di jazz visionario, aperto e senza confini.

Detto questo, il suo pianismo swingante, preciso – e rafforzato dal brillante e pulsante contributo di Dyson e Wheeler- è stato la colonna vertebrale del Revolutionary Brotherhood che ha saputo incanalare e custodire le ficcanti ondate di emozioni sonore che via via sgorgavano dal dialogo tra il tenore ricco di colori e sfumature di Bearzatti (che spesso ricorda tinte latine alla Rollins) e l’incontenibile, potente ma allo stesso tempo elegante e selvaggia tromba di Bosso. Un fuoriclasse. Un musicista di valore mondiale che come pochi altri sa raccontare in un giro di blues (si fa per dire) tutta la storia trombettistica del jazz richiamando tutti i grandi dello strumento e, con rarissima abilità, mentre si appropria delle peculiarità dei Maestri elabora il proprio marchio. E, di fronte alle prestazioni impressionanti per fantasia, fecondità e vigore cui ci ha abituato il nostro trombettista, a chi scrive queste righe è venuto spesso da pensare che il jazz sia sempre stato in Bosso, come inscritto nel suo patrimonio genetico, perché ogni volta ci sorprende con tinte, timbri e angoli nuovi. Angoli che molti ignorano ancora nonostante la sua carriera ultraventennale, carriera che all’inizio spiccò il volo anche «Grazie a collaborazioni e insegnamenti ricevuti una ventina di anni fa proprio da Bearzatti», come ha ricordato Bosso durante la magnifica serata musicale italo-americana incentrata prevalentemente sui brani originali (e di cui non sono ancora stati definiti i titoli) di The Revolutionary Brotherhood. Ma per il sigillo finale di questo appuntamento di Ferrara In Jazz, in collaborazione con il Bologna Jazz Festival, il quintetto ha chiamato in causa Ornette Coleman fornendoci una versione intensissima di Turnaround che il pubblico del Torrione ha salutato con applausi scroscianti.

(testo e foto: Gian Franco Grilli)

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