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BRASILE. Dal Pernambuco l’altro jazz di AMARO FREITAS

18. giugno 2022 – 17:36No Comment
BRASILE. Dal Pernambuco l’altro jazz di AMARO FREITAS

SANKOFA, inciso con l’etichetta inglese Far Out recordings, 2021, è l’albumo che completa la trilogia del pianista jazz brasiliano  AMARO FREITAS in trio con gli altri suoi fedelissimi partner Hugo Medeiros (drums & percussion) e Jean Elton (double bass). Siamo di fronte ad otto tracce che confermano il pianismo sperimentale estremamente percussivo  e carsico del giovane ed eclettico artista del nord est del Pernambuco. Gli altri due precedenti album della trilogia sono Sangue Negro (2016) e Rasif (2018).

BRASILE. Recife, Pernambuco. Il pianista sperimentatore AMARO FREITAS, nell’impresa di rinnovare lo stereotipo musicale brasiliano di samba e bossanova, arriva con un altro album interessante, o perlomeno che non lascia indifferenti per il forte impatto per sonorità, linguaggi, complessità ritmico-armonica. Tra le otto composizione dell’album  forse il brano più rappresentativo del variegato e ondivago pianismo ritmico afrobrasiliano, al centro di SANKOFA, è la traccia Baquaqua,brano idealmente  ispirato al coraggioso personaggio in fuga dalla schiavitù. Nell’insieme la trilogia completata da Sangue Negro e Rasif realizzata con il suo solito e paritetico trio formato con Jean Elton (basso) e Hugo Medeiros (batteria) è sviluppata all’insegna di un richiamo a rivedere e rileggere la storia degli africani in Brasile e in particolare nella regione nordestina pernambucana. Di questo pianista esuberante, frenetico, tecnicamente ineccepibile, che conosce i fondamentali della musica afroamericana, apprezzo però maggiormente la dimensione meditativa, quando l’idea si muove attorno alla melodia, con brani distensivi (frammenti di Sankofa, Vila Bela, Nascimento) allontanandosi dai frequentissimi riff ritmici, ripetitivi, parossistici seppur eseguiti brillantemente e fiancheggiato ottimamente dai due compagni di avventura, cerniera di un efficacissimo interplay. Il brano più jazzisticamente mainstream, swingante, senza alcun dubbio è l’onda sonora piacevole di Ayeye. Andare poi a scoprire in profondità gli elementi ritmico-espressivi-semantici dell’area pernambucana indagata da Freitas per questa jazzificazione è, francamente  un’altra storia, lunga e complessa, compito arduo  anche per super addetti ai lavori e/o veri conoscitori dell’enorme patrimonio musicale del Brasile nordestino. Riuscire poi a scorgere i desiderata annunciati dal bandleader dal risultato finale è ancora un’altra cosa in più; senza considerare che  spesso tali desiderata rimangono (ma è stato così anche per grandi Maestri che hanno influenzato il nostro) solo nel perimetro mentale sonoro dell’autore. E in particolare, anche di fronte a un traguardo raggiunto ma mostrato con queste ostinatissime commistioni, chi scrive nutre forti dubbi per la decodificazione di ingredienti, radici e codici, da parte di  critici ferrati.

Due brevi note bio. Amaro Freitas, come numerosi altri pianisti jazz, iniziò a suonare la batteria (altri esempi analoghi di colleghi: Chick Corea, Gonzalo Rubalcaba, Danilo Perez, Emiliano Salvador …)  poi il piano in chiesa all’età di 12 anni sotto la guida di suo padre. Malgrado il talento riuscì a frequentare solo per breve tempo il Conservatorio Pernambucano di Musica, che dovette purtroppo lasciare per ragioni economiche, e proseguendo il cammino e mantenendosi suonando per matrimoni, feste di paese, e addirittura come operatore in un call center per pagarsi delle lezioni. Racconta che, all’età di 15 anni, rimase folgorato da un concerto di Chick Corea in dvd: “non avevo mai visto niente del genere, ma sapevo che era quello che volevo fare con il pianoforte”.

GFG

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