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grilliparlante

23 novembre 2014

Finalmente sono riuscito a vedere il film RITORNO ALL’AVANA, e concordo con la critica di Repubblica quando sottolinea, tra altri molteplici aspetti, che si tratta di un’opera dura contro il regime castrista, il socialismo che ha ‘castrato’ le speranze di quattro intellettuali (mentre Aldo, ingegnere che fa l’operaio, continua a crederci) che si ritrovano dopo molti anni su un terrazzone avanero, un film critico sul presente della Revoluciòn nonostante le ultime aperture del regime. Dal punto di vista filmografico è discutibile, la location è su un terrazzo scarno di un palazzo del Vedado che affaccia sul Malecon, il lungomare. Vale comunque la pena vederlo questo film. E così mi piacerebbe leggere la vostra impressione. Certo, non è consolante vedere su 20 persone in sala che cinque se ne vanno prima della fine della proiezione. Forse stancati da questa conversazione pesante tra i cinque amici che affrontano i drammi della diaspora delle contraddizioni e dei misteri magici di Cuba. Una finestra sulla disillusione cubana, su sogni infranti e sui giovani cubani che non hanno punti di riferimento nè ideali, nè di progetti futuri dove tutto è stagnante.http://www.repubblica.it/…/28/n…/ritorno_a_l_avana-98658476/ (G.F. Grilli)

9 settembre 2014

Cos’era la Festa de L’Unità di Bologna degli anni Ottanta e primi Novanta e come si è ridotta oggi. Roba da non credere.  Di ritorno dal Parco Nord  sono stato costretto a scrivere queste poche righe frettolose e senza meditare più di tanto. Perchè l’impressione ricevuta è altamente negativa. Una Festa vuota, bruttissima, un mix di sagra della polpetta e, per di più, di bassissimo profilo. Che tristezza osservare stand privi di calore, colori, passione e qualità. Che amarezza vedere che, a parte la cucina, il denominatore comune di vari stand sono delle patetiche esibizioni e promozioni di balli di gruppo, con persone (che rispetto) impegnate a tutti i costi a voler mostrarsi attraverso il movimento di piedi e spalle. Ma ripenso a tutto quanto visto e mi rendo conto che è l’immagine riflessa del quadro dirigenziale del Partito promotore e organizzatore del festival. E allora di cosa mi meraviglio, mi vien da chiedermi. E pensare che non è tutta colpa del renzismo ma il tramonto è iniziato con il pensiero (se tale lo si può chiamare) politico che l’ha preceduto, ovvero l’assenza di politica, di idealità, di progettualità.

Per concludere, mi chiedo anche se è stato giusto dedicare tanti anni della nostra vita attraverso duro lavoro volontario a quel fenomeno di partecipazione vera che era la Festa della Sinistra,  se è stato giusto dare il meglio di noi per molte settimane ogni anno per continuare a lottare  e credere che una società più giusta fosse possibile realizzarla. E invece ci ritroviamo con una realtà sociale drammatica, con quei valori importanti mossi dalla militanza che ora sono vicini allo zero e  ci dobbiamo accontentare di una Festa de L’Unità irriconoscibile, priva d’identità, sulla falsariga del modello neoliberista tanto apprezzato dai leader del partito più grande della sinistra (?) italiana. Mi vien da dire, una festa di impronta democristiana, insipida e vuota di idee. Beati gli anni in cui si poteva andare alla Festa per ritrovare lo spirito comunitario, partecipativo, che stava scomparendo con l’avanzare dei modelli consumistici. Ora lì ti senti proprio solo anche se in mezzo a molta gente, come essere in via Rizzoli o al mercato della Piazzola di Bologna.  E le colpe di tutto questo degrado sono da addebitare ai tanti opportunisti, carrieristi che hanno occupato posti di rilievo nel PCI dalla fine degli anni Ottanta in poi e via via nei nuovi partiti derivati.

24 aprile 2014

Molti italiani si scandalizzano e si indignano per la mancanza di libertà di espressione, di elezioni politiche libere, di diritti negati, di ingiustizia, ….. in alcuni paesi non certamente democratici. Ancor più verso gruppi mafiosi o camorristi o associazioni/comitati di affari che governano attraverso corruzione, narcotraffico ecc. interi paesi. Vogliamo parlare del Me…, vogliamo parlare della Co…, vogliamo parlare di Ci..

ma perché non vediamo che tutto ciò imperversa nel nostro Paese? Come mai non ci rendiamo conto di ciò che ci circonda? E non abbiamo nemmeno vergogna di essere ridicoli. Basti pensare a un grosso politico che nonostante sia condannato gli vengano concessi privilegi invece negati a un semplice cittadino. Vi immaginate la ridicolaggine di fargli scontare la condanna con uno pseudo servizio sociale di quattro ore la settimana, e vi immaginate se in quella struttura un portantino avrà il coraggio e la coerrenza di comandare tale noto individuo per raccogliere padelle, cambiare pannoloni a quei poveri cristi già penalizzati dal destino?

Codesto signore fa bene a difendersi per schivare il peso delle punizioni. Ma i politici, e soprattutto gli oppositori dell’Innominato, che sempre sono lì a richiamre la Costituzione per ogni scoreggia, perchè chiudono tutti gli occhi di fronte a fatti gravi come questo, perchè non tirano fuori le palle?  Giocano la carta dell’indifferenza per non avere la forza morale di combattere a muso duro contro questi fatti assurdi e da non credere in una Paese che si ritiene depositario di valori democratici, di buon senso, di uguaglianza di fronte alla legge,

L’Italia è una nazione fondata su gente ridicola,priva di dignità e di memoria storica. Gli Italiani, non tutti ma quelli che dovrebbero contare, sono privi di serietà, senso civico, etica, morale.

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24 agosto 2013, su Musica Jazz ancora una volta bongo e congas pari sono! Le lacune sono  dei due critici-studiosi Berini e Volonté autori del dossier “A drum is a Woman“.

Il dossier di agosto di Musica Jazz presenta A Drum Is a Woman “uno dei lavori meno conosciuti e reperibili” di Duke Ellington di cui la rivista specializzata propone una nuova edizione in Cd di questa suite del 1957 con “un commento critico dei due maggiori studiosi italiani della carriera di Ellington”. Antonio Berini e Giovanni M. Volonté sono gli autori del dossier, e fin qui tutto va bene. Ma quando debbono affrontare l’argomento delle percussioni afrocubane o caraibiche impiegate in questo progett0, i due studiosi manifestano, alla pari di tanti illustri colleghi, molte lacune in merito, e non sanno distinguere congas da bongo. Almeno per quanto riguarda questo lavoro.  Pertanto deduciamo che bongo e congas pari sono per loro. E nonostante che negli ultimi anni la medesima testata abbia pubblicato articoli e speciali dedicati alle musiche latine e agli strumenti tipici che vengono utilizzati per quei linguaggi. Tra questi, appunto, il tamburo conga e la coppia di bongo, strumenti che hanno forme e suoni nettamente diversi tra loro e da qui anche ruoli distinti all’interno delle orchestre. E quindi è abbastanza grave che due studiosi come quelli appena citati non sappiano andare oltre alle scarne e imprecise note di copertine (frequentissime fino a pochi anni fa) e siano privi di vero spirito critico e di conoscenze adeguate. Siamo nel 2013 e ignorare ancora alcuni elementi fondamentali di musiche che si sono sposate con il jazz non è più tanto ammissibile, e soprattutto da parte di esperti di musica e di critica musicale.  Speriamo che sia dovuto ai tempi sempre stretti che si hanno dalle redazioni nel consegnare i pezzi. Non ce ne vogliano gli autori ma ci sembrava giusto richiamare certi punti deboli del lavoro, che nel suo insieme è molto interessante.

22 aprile 2012:

Milena Gabanellicon la sua equipe giornalistica, continua con grande capacità a raccontarci la realtà e a indagare dove altri non arrivano. La signora Gabanelli è una professionista di giornalismo di grandissimo livello ispirata dalla deontologia del vero comunicatore ne più ne meno ciò che un dovrebbe fare il giornalista, serio, coerente con il proprio ruolo e indipendente dalle pressioni aziendali e dai pubblicitari. Report descrive con oggettività i fatti e le realtà, i sotterfugi, gli abusi, che il cittadino non conosce. Nella puntata andata in onda domenica 22 aprile 2012 ha offerto un servizio capolavoro intitolato SMARCAMENTI IN CAMPO” di Michele Buono che ci ha accompagnato anche in Sud America per vedere oltreoceano come reagiscono alle crisi.

Parlando del sistema capitalista occidentale ha mostrato che l’Occidente vive da anni una crisi paurosa. Che sono in tanti ormai che da tempo cominciano a domandarsi se è possibile uscirne e soprattutto come. Senza denaro pubblico, uno stato sociale sempre più in affanno, fabbriche che chiudono, famiglie che ormai stentano ad arrivare a fine mese. Eppure un piccolo barlume di luce si intravede. Report ha attraversato l’Italia, l’Europa, gli Stati Uniti  ma anche il Sud America alla ricerca di segnali positivi e alla fine abbiamo scoperto che esistono altri modelli di economia e di finanza: imprese che hanno scelto di mettere la persona al centro del proprio processo economico; banche che non fanno speculazione, o il mercato della finanza, ma più semplicemente finanza per il mercato. L’inchiesta svolta  in Argentina ha fatto vedere il paradigma positivo di una società i cui rapporti sociali e le relazioni esprimono un modello di socializzazione dell’economia: l’esperienza delle imprese recuperate dopo il crollo con tangobond eccetera.  Ci ha portato in casa esempi di vita concreta, la comunità dove si muovono le persone e il tutto collegato al mondo del lavoro. Risultato finale: è stato attaccato in un certo qual modo la finanza mondiale e il ruolo speculativo e ricattatorio che pratico nel Pianeta. Insomma, ne esce che il modello di società in cui viviamo non è l’unico possibile, non esiste in natura ed è solo il frutto delle nostre decisioni. Dopo il reportage in terra sudamericana molti, non tutti,  banchieri e industriali iperspeculatori dovrebbero uscire di scena o dovremmo fare in modo di toglier loro  il potere che hanno per le mani e le enormi risorse che manovrano nell’interesse di lobbies, di gruppi ‘massonici’. Dobbiamo lavorare per mettere in discussione la loro centralità, perché le loro ricette, in combutta con governi e parlamentari corrotti  hanno sfasciato il bilancio e mandato a gambe all’aria il futuro di milioni di persone anche in Italia. E tutto ciò ha permesso a faccendieri e politici corrotti di arricchirsi alle spalle degli ultimi della società, i lavoratori dipendenti, i pensionati, i commercianti e i professionisti onesti.  Forza REPORT! Bravissima Milena…e speriamo che i soliti manovratori delle nostre ricchezze  (e di cui il prof. Monti cura anche se con eleganza i loro affari) comincino ad arrossire e andarsene a casa, per sempre.

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CILE: cambiare il significato delle parole pesanti.

La rivoluzione pacifica degli studenti cileni ingaggiata da diversi mesi la si vuole fermare perché mette in discussione un modello ingiusto di società. I giovani lottano per ritornare ad avere un’educazione gratuita e di qualità  per tutti. Insomma battere il governo di destra di Piñera e gli imprenditori, suoi alleati, che speculano nel settore educativo lucrandoci privatamente. Lì se hai possibilità economiche puoi studiare, se sei povero diventa quasi impossibile permettersi l’università. E invece questo dovrebbe essere un settore gestito dalle istituzioni pubbliche. La stessa cosa dicasi per sanità e trasporti. Poi la competizione umana può partire e i migliori giustamente verranno premiati, ma ora i premiati sono in partenza i figli dei ricchi. In Cile ora si va a toccare anche un nervo scoperto, i residui della dittatura. Leggi l’articolo.

6 gennaio 2012

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ACQUA: due SI il 12 e 13 giugno, vogliono dire libertà e giustizia in tutto il pianeta

Senza tante scorciatoie:  l’acqua è quintessenza della vita,  un bene essenziale di ogni uomo sulla terra,   va difesa dagli sprechi ma soprattutto dagli speculatori, ovunque.  La politica, non il partitisimo,  è vita e quindi vi invito ad andare a votare liberamente e  sempre, referendum e politiche, perché  il voto è un diritto/dovere che va esercitato . A proposito. Agli indifferenti a tutto e a coloro che scelgono di non prendere parte alle contese politiche o referendarie, bisognerebbe chiedere loro se sarebbero contenti di vivere invece in paesi dove queste libertà di esprimersi sono spesso cancellate o truccate o dove succede di ricevere pallottole nello stomaco quando si intraprendono battaglie di grande civiltà come la difesa dell’acqua. Documentatevi e meditate.  A buon intenditor…

Due SI sui quesiti refendari sull’acqua del 12 e 13 giugno:

Il primo SI serve per abrogare il Decreto Ronchi, bloccando così le politiche della privatizzazione e aprire la strada a una nuova legge, in coerenza con norme comunitarie, per  la gestione pubblica del servizio idrico. (Acqua, sanità e istruzione non vanno mercificate!)

Il secondo SI è utile per abrogare dalla tariffa la parte riguardante “l’adeguata remunerazione del capitale investito” togliendo così un po’ d’oro a imprese  private e multinazionali che gestiscono il servizio idrico,  e con finalità non certamente filantropiche.

Votare SI è anche un segno di democrazia, di solidarietà e di speranza verso 1 miliardo e trecento milioni di persone nel mondo che non hanno accesso all’acqua potabile e ai 2,5 miliardi di esseri umani privi di servizi igienico-sanitari.

Votare SI è un primo importante contributo per una lotta che è in atto sull’intero pianeta, è un diritto al  nostro futuro e a quello delle nuove generazioni. Un segnale per rendere più giusto e migliore la vita di tutti gli esseri umani.

E tutto questo rientra anche nel nostro modo sensibile di guardare il continente Latinoamericano e il Sud del mondo. Infatti votare in Italia per riconquistare il nostro diritto all’acqua pubblica è un gesto di solidarietà al combattente Urquizo Diaz Darwin, professore di zootecnia e biotecnologia nella facoltà di Agraria di Cusco, Perù, che sta vivendo un’infernale via crucis sanitaria per le 4 pallottole  che gli hanno trafitto l’addome nel 2001.  Motivo? La sua convinta battaglia per la difesa dell’acqua pubblica e contro la corruzione in Perù.   Questa è una storia di cui si sa poco nel nostro Paese ma merita di essere  maggiormente conosciuta per capire gli interessi sporchi di pochi “avvoltoi”, e tra questi  spesso si annidano anche persone e politici insospettabili, gente dalla lingua biforcuta.

Andate a votare questi referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento per vivere una democrazia vera, una giustizia vera, un diritto alla vita vero,  per ribadire che la legge deve essere uguale per tutti, nessuno escluso.

GF

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9 marzo 2010. MEXICO. Il messicano Carlos Slim è ancora una volta l’uomo più ricco del pianeta con un patrimonio di 74.000 milioni di dollari, secondo la  rivista statunitense Forbes. Sommando questo dato  ai numeri positivi dell’economia messicana, che sta andando forte,  il  risultato  non potrebbe che essere un Messico come luogo dove viverci e investirci qualcosa con tranquillità. Ma siamo proprio sicuri che questo sia il paese della cuccagna? Io ho molto dubbi, non solo per i pregiudizi, li ammetto, verso i governanti, ma perchè basta andare a cercare qualche notizia nelle pagine degli Esteri di quotidiani o agenzie di stampa di provata serietà professionale e viene fuori un’altra fotografia di questa grande nazione di tradizione ispanica situata nel Nord America. Qui la ricchezza è redistribuita in modo troppo diseguale,  con una forbice troppa larga tra i tantissimi poverissimi e i pochi ricchissimi. Poi in grandi zone del Messico oggi impera la criminalità, è inutile negarlo. Sul sito di Narcomafie.it  si legge che il presidente messicano Felipe Calderon ha lanciato, fin dal suo insediamento nel dicembre 2006, una campagna contro i cartelli della droga, mobilitando 50mila soldati e migliaia di poliziotti federali. Ad oggi ci sono stati più di 34.600 morti, vittime di regolamenti di conti tra i membri dei vari cartelli o scontri con le forze dell’ordine. A Ciudad de Juarez nel 2010 si sono registrati 3.000 omicidi per il controllo del narcotraffico. 3.000, TREMILA ammazzati, al confine con gli Stati Uniti!!!. E’ vero che anche  bande criminali si ammazzano nelle nostra penisola, ma non siamo giunti a quei numeri messicani, e comunque  ricordiamoci che noi siamo la culla di mafia, n’drangheta e camorra. Ma a pochi passi dagli USA, noooo, non si può accettare che i leadere della terra che illumina democraticamente tutto l’Occidente lascino accadere queste atrocità sulle soglie di casa. Allora qualche dubbio sul modello di ricchezza messicana sorge spontaneo. Se aggiungiamo che il  Messico, secondo  il Council of Foreign Relations è più violento dell’Afganistan e dell’Iraq,  bisogna chiedersi se non sia il caso di invaderlo per riportare diritti e democrazia vera.  A chi giova, oltre che ai narcos, questo silenzio o indifferenza verso il Messico corrotto? Da decenni si spendono miliardi per costruire un barriera di ferro per impedire ai messicani di attraversare clandestinamente i confini (lunghi migliaia di chilometri) con gli USA.  Sono misure che non servono a nulla, lo si è già dimostrato che è solo una sorta di placebo per tranquillare i moderati,  perchè si scavano tunnel sotto questi muri come piccole superstrade, e allora  tutto ciò diventa inutile. Sembra di vedere la lotta alla criminalità mafiosa in Italia,  beccano 10 capi, ne nascono 1000. Ma dall’ ipocrisia, spicca il business da salvarguardare, proteggere i gruppi di potere collusi con il commercio di illegalità.  Se gli USA volessero davvero collaborare con il governo messicano per sconfiggere i cartelli dei narcotrafficanti dovrebbero smettere di vendere le armi a queste organizzazioni e così si colpirebbe la forza  del traffico di droga che invade il mercato nordamericano. Sono un grilliparlante e non mi rendo conto che è troppo chiedere buon senso e serietà a lobbies che costruiscono fortune sulle bugie vendute come verità a milioni e milioni di allocchi.

21 dicembre 2010. Sul settimanale Internazionale resiste la rubrica della blogger cubana Yoani Sanchez, che oramai non sa più cosa scrivere per attrarre l’attenzione, almeno di chi conosce un po’ di cose cubane. Non sono un difensore del regime cubano, bensì della libertà di espressione a tutti i popoli, tuttavia leggendo la stampa italiana le poche notizie di Esteri  riguardano solo disastri naturali, crisi di paesi poveri, ma soprattutto  dove i Potenti del mondo  hanno forti interessi, pozzi petroliferi, giacimenti di oro, rame eccetera eccetera. Spesso, poi se non si può sfruttare qualche risorsa importante di quella tale zona,  i diritti umani, la democrazia e i massacri di popolazioni di quel mondo non diventano notizie da mettere in pagina e non esistono proprio per nessuno dei grandi del G8, G20, Gggggg e per i media gestiti dai loro subordinati. Allora mi chiedo e chiedo a a tutti, anche in modo contraddittorio: perchè proprio e solo una finestra aggiornata su Cuba tutte le settimane, giacchè non sembra esistano uranio, oro, argento ecc.? E’  veramente la mancanza di democrazia nell’Isla e il fatto che Yoani è una dissidente che lotta da sola? OK, se è così va bene. Ma allora quanti sarebbero i paesi nel mondo che sono ancora in semi-schiavitù, dove la libertà è un optional da comprare e andrebbero aiutati con una giusta rubrichetta? I problemi di ingiustizia, di assenza di vera libertà ( e non quella scritta sulla carta), di corruzione, di violenza e le contraddizioni degli altri paesi (pluralisti o meno) non è proprio possibile farli raccontare sulle stesse pagine di Internazionale da blogger di Haiti, Honduras, Salvador, Colombia, Venezuela, Giamaica, Liberia, Sudan, Costa d’Avorio eccetera? Mi sembrerebbe un atteggiamento serio, imparziale, democratico e senza pregiudizio verso i popoli della terra. Ma entriamo nel merito su quanto scrive Yoani nell’ultimo numero: parla dei 60 anni delle televisione a Cuba, primo paese in America latina, informazione libera fino al 1958, poi il buio quando i mezzi di informazione diventano proprietà dello Stato socialista. Evidenzia la scomparsa della pubblicità commerciale (come un male) sostituita da  quella ‘progresso’ per educare i cittadini a risparmiare acqua, energia elettrica, inviti a alle sfilate del Primo Maggio, ai comizi fiume di Fidel. D’accordo sulle ultime due voci citate, ma per il resto stavolta, Yoani, mi dispiace dirlo, dimostra un po’ di ipocrisia o di ignorare certi meccanismi. E non sogna un bel futuro per il suo Paese se dimentica che gran parte dell’informazione  e della libertà di stampa (lei ha vissuto in Svizzera e quindi…)  è condizionata fortemente dai monopolizzatori della pubblicità, che non sono altro che agenzie di multinazionali che a loro piacere possono decidere parte dei bilanci dei giornali stampati o via etere. Bene, Auguriamoci tutti di cuore che ritorni presto una Tv cubana a più voci, ma che sappia usare l’intelligenza e prevenire le storture dei famelici media capitalisti, perchè se si passa dalla pochezza della Tv statale cubana di oggi alle emittenti commerciali (non libere!) che ti comprano la testa con il nulla, siete bell’e fritti.  Yoani, ascolta se puoi cosa dicono coloro che sono nauseati dai Grandi Fratelli del menga, dalle Isole dei Famosi dilaganti nel mondo, dai talk show a base di frittelle e lambrusco alle 8 del mattino. E’ vero che le novità e anche solo il profumo di nuovi piatti dove la crisi è eterna possono riempirti la cabeza e la panza, ma le ricette salutari per il corpo e il cervello di uomini e donne davvero indipendenti dal mercato  sono ben altre, credimi, cara amica.

Sempre sullo stesso settimanale c’è il servizio Il cielo di São Paulo all’ora di punta. Gli uomini d’affari si spostano in elicottero e le spose sognano di atterrare vicino all’altare. Nella città più ricca del Brasile è scoppiata l’elicotteromania. Spero proprio che questi orrori, che dovrebbero far incazzare i tanti poveri,  qualche saggio li tolga di mezzo. E’ legittimo aspirare al benessere ma questi voli sono soltanto egoismo umano da combattere con ogni strumento e senza tante giustificazioni, perchè non possiamo permetterci tali mostruosità o sarà la fine. Buon Natale e Felice Anno Nuovo! Merry Christmas and Happy New Year! Joyeux Noël et Bonne Année! Feliz Navidad y Próspero Año Nuevo! Fröhliche Weihnachten und ein glückliches Neues Jahr! с Pождеством и с Hовым Годом! Boas Festas e um feliz Ano Novo!

6 dicembre 2010. Mario Vagas Llosa. Lo scrittore peruviano, premio Nobel per la Letteratura 2010, ha rilasciato un’intervista a Valerio Magrelli per il Venerdì di Repubblica (3/12/10). Interessante tutta la conversazione, ma  evidenziamo una parte dove parla di Cuba a chi non sapeva dei suoi iniziali legami di simpatia a sinistra prima di diventare un conservatore.  “La mia generazione aderì con entusiasmo a quella rivoluzione, che ho raccontato nel romanzo La ragazza cattiva. All’inizio sembrò libertaria, non dogmatica, antistalinista. Vissi una grande illusione, lo confesso. Fui partigiano, militante, andai all’Avana. Il processo di distacco fu graduale. Già negli anni Sessanta questa immagine ideale entrò in crisi. La prima rottura accadde nel 1966, quando si crearono le Umap, le Unità militari di aiuto alla produzione, un eufemismo per indicare dei campi di concentramento dove erano raccolti dissidenti, critici, omosessuali, controrivoluzionari e criminali. Fu una cosa drammatica, perché questi omosessuali erano giovani pittori, attori, ballerini che avevano combattuto per la rivoluzione, un gruppo che conoscevo molto bene, denominato El Puente e diretto dal poeta José Mario. Ci furono suicidi, fu una cosa traumatica, che per me costituì un autentico shock. Ricordo di aver scritto una lettera privata a Castro dicendogli del mio sconcerto. Lui mi chiamò, insieme ad altri compagni che avevano protestato. Passammo una notte di discussioni, in cui ci diede spiegazioni niente affatto convincenti”. Poi prosegue sempre sul Castrismo

04 ottobre 2010. Brasile, Cile e Patagonia: un futuro credibile nasce dal rispetto della terra e di noi stessi. Visto il risultato e contro le più accreditate previsioni, Dilma Rousseff con il 47% non ce l’ha fatta al primo turno a conquistare la Presidenza del Brasile e il 31 ottobre ci sarà il ballottaggio con José Serra, che ha ottenuto il 33%. Ora, più che mai, diventa determinante l’altra leader donna: Marina Silva, che ha sfiorato il 20%. Verde, ambientalista che si batte per difendere l’Amazzonia (e  critica Lula & Dilma  per essere stati deboli con chi in Brasile sfrutta il territorio in modo dissennato),  Marina Silva dovrà decidere su chi far confluire i propri voti in base a impegni verso il rispetto delle risorse ambientali. Tematiche che ci portano in Cile, salito alla ribalta nelle ultime settimane per la tragedia dei 33 minatori intrappolati a San Josè. Stiamo parlando, peraltro, di una vicenda preannunciata come  tante altre che succedono nel Pianeta. Quando si continua a battere testardamente la testa su strade rischiose, non ci si può poi stupire più di tanto. E per di più, se andare sottoterra – come scriveva qualche tempo fa un giornalista cileno e di cui non ricordo il nome su El Pais- è nel dna della gente del suo paese e le condizioni di vita dei minatori sono uguali a quelle di oltre un secolo fa. Allora dispiace per il dramma delle persone intrappolate laggiù, capiamo che non hanno alternative lavorative, ma vogliamo cominciare a guardare ogni tanto indietro prima di versare altre lacrime e convincerci, come sosteneva l’articolista, che non tutti i futuri valgono la pena di essere vissuti??? Quando sappiamo che il rischio è alto, come andare in guerra, perchè non alziamo la testa e mandiamo i manager o leader di governo a scavare sotto terra o combattere il nemico e non i sudditi? Sono ragioni che i potenti non amano, ma che le persone umili e supersfruttate debbono rifletterci su. La vita non è così e basta. Questa consapevolezza e sensibilità verso una vita degna di essere vissuta sembrano averla comitati e cittadini locali che nella regione dell’Aysen, in Cile, lottano contro i progetti delle multinazionali al lavoro per costruire cinque dighe, impianti idroelettrici (in cui è coinvolta anche Enel!) e cancellando  così fiumi, pastorizia, agricoltura, ecoturismo, condizioni di vita accettabili nonostante le promesse fatte, sottoscritte, ma mai rispettate. Nel Belpaese ne sappiamo qualcosa, e il racconto sarebbe lungo su vicende di ieri e di oggi. Quindi diciamo basta allo sfruttamento  sconsiderato della natura solo per avere tre cellulari o due televisori a testa, fuoristrada che bloccano vicoli medioevali, costruire armi per esportare finte democrazie e benessere. Diamo una regolata a queste forme di egoismo e di inciviltà, usiamo il buon senso, prima che sia troppo tardi. Si vive anche con meno delle tante cose inutili, e meglio. Oggi è San Francesco, riflettiamo ogni tanto sui suoi pensieri immortali.

02 ottobre 2010. America latina: negli ultimi giorni la nostra stampa ha puntato i riflettori su Ecuador e Brasile. Sul golpe di Quito pochi approfondimenti tranne un paio di testate come Manifesto e Il Fatto Quotidiano che invece hanno offerto analisi e riflessioni sulla ripresa da parte della destra, appoggiata da gruppi di potere statunitensi, per sconfiggere le via al ‘socialismo del XXI secolo’ in SudAmerica inaugurata da Chavez e seguita da altri leader. Il primo tentativo, riuscito, è stato quello in Honduras dove è stato deposto il presidente José Manuel “Mel” Zelaya Rosales. Era il 28 giugno del 2009 quando un reparto di militari honduregni prelevò il presidente in pigiama dal suo Palazzo e lo ha depositato come un pacco in Costa Rica. Nonostante le proteste popolari e le condanne dell’Onu il nuovo governo di Roberto Micheletti è ancora lì, e il gendarme nordamericano difensore delle democrazie stavolta resta a guardare. Come mai?

Il Brasile è sulla ‘bocca’ di tutti i media perchè aspettano il responso delle urne delle elezioni politiche del 3 ottobre. Il presidente Lula lascia dopo 8 anni di governo con un indice di popolarità altissimo e in presenza di un boom economico che soddisfa anche la classe media e gli imprenditori. Come già detto in altro post, la fame non è più un serio problema per tantissime persone di questo piccolo continente di 190 milioni di esseri viventi; il livello di crescita fa scintille e il modello di progresso elaborato è preso in considerazione da tutto il terzo mondo o paesi emergenti; tra pochi anni diventerà la quinta potenza economica del mondo. Sembrerebbe una realtà senza più problemi, ma è giusto anche elencare alcune delle cose che Lula non ha centrato in pieno: la Scuola, ad esempio, settore in cui solo il 25% della popolazione è completamente alfabetizzato e serve una spinta per migliorarlo in fretta; oppure la Riforma Agraria promessa,  ma non avvenuta e tutto è come prima. E allora ci chiediamo: saprà il successore sponsorizzato da Lula, Dilma Rousseff (ex-guerrigliera; ministra dell’Energia del governo Lula), colei che ha maggiori probabilità di vincere le elezioni, risolvere queste due piaghe? Intanto le facciamo i migliori auguri per diventare la prima donna a capo del Brasile. E sarebbe anche il secondo ex-guerrigliero latinoamericano che sale sul trono; l’altro in carica è José Mujica in Uruguay. Segno che il mondo lentamente cambia.

2 Settembre 2010 – CUBA. “…ai nati prima della rivoluzione del ‘ 59 (ed oggi almeno cinquantenni) – il governo  concedeva una volta al mese nella libreta, la tessera di razionamento delle famiglie cubane …Un vecchio cubano poteva fumarsi con pochi pesos lo stesso Cohiba di un banchiere di Lugano.Dal primo settembre, ha annunciato ieri in una breve nota il Granma, i puros non verranno più distribuiti nei negozi di Stato”. Così scriveva tra altre cose, sacrosante, Omero Ciai nell’articolo Adiós al sigaro garantito Cuba taglia i sussidi ai puros (Repubblica, agosto 2010). E allora cosa c’è che non va? Semplicemente che l’articolista  non fa bene i conti  e torce il sigaro per piegare la realtà, che è questa: un originale Cohiba – ma anche Trinidad Fundadores o  Vegas Robaina Clasicos (dai un’occhiata al video La Leyenda del Tabaco), eccetera, costa circa 15 CUC (peso cubano convertibile) equivalente ad altrettanti dollari, cioè più di un mese di stipendio di un lavoratore cubano e il convento castrista non distribuiva affatto  puros doc alla popolazione, ma sigari fatti con trinciato o picadura di seconda, ossia avanzi di foglie di tabacco. E tante grazie. Cosa costa allora scrivere i fatti come sono? Se poi quel mondo non lo si conosce bene è meglio documentarsi, e comunque a volte è sufficiente soltanto usare il senso pratico per vedere cosa fa due più due.

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3 settembre 2010, CUBA. La pagina 9 de Il Manifesto (1 settembre) è tutta dedicata a L’Isola nella Corrente e merita di essere letta. Roberto Livi firma l’intervista a Gloria Rolando, regista del documentario 1912, voces para un silencio che indaga le origini e ) della cultura de neri afro-cubani. Sintesi: nonostante l’impegno della Rivoluzione  i pregiudizi razziali sono rimasti nella testa dei cubani. Lo scrittore e giornalista avanero Leonardo Padura Fuentes nel pezzo Predizioni delfiche e (pochi) punti fermi  parte dal duro e difficile lavoro dei giornalisti internazionali che fanno supposizioni abbastanza avventate sui cambiamenti promessi dal governo nell’isola caraibica. Ma Padura, molto più documentato degli osservatori esterni giacchè vive lì tutti i giorni, svolge un’analisi più realistica, come dire che conosce i suoi polli, e in definitiva critica l’opacità della politica sociale ed economica, si pone dubbi nonostante riconosca al governo di cercare delle alternative economiche a partire dall’apertura al privato proponendo in alcuni settori il lavoro “per conto proprio”. Qualche quotidiano italiano è molto attento ai problemi di Cuba e non certamente nello stile  partigiano di  Minà. Grilliparlante suggerisce:  perchè i direttori di giornali sensibili al futuro del Paese caraibico anzichè pubblicare quadretti cubani obsoleti, con i colori e le tonalità vecchie come il cucco e prive di succo e novità, non si cercano un personaggio alla Padura Fuentes, o lui medesimo. Manifesto permettendo? Padura è uno che vive la calle, la quotidianità   e sa sviscerare con senso critico i problemi che stanno alla base della società cubana. E li spiega senza tanti peli sulla lingua, incurante dei funzionari e burocrati cubani e senza secondi fini. Se volete conoscere meglio questo intellettuale leggete le opere che pubblica con Marco Tropea editore.

16 settembre 2010 Cuba e America Latina. Stiamo ancora nell’Isola nella Corrente (Il Manifesto, 15/09/2010) con Padura Fuentes per analizzare la situazione cubana che in questi ultimi giorni è tornata sulle prime pagine della stampa mondiale dopo che Fidel pirma ha ammesso  gravi persecuzioni degli omosessuali all’inizio della Rivoluzione mandando nei campi di lavoro e rieducazione dell’UMAP- Unità Militari di Aiuto alla Produzione (La Jornada , Messico), poi ha parlato dell’esaurimento del modello cubano al giornalista nordamericano della rivista The Atlantic. E allora tutti a buttar giù titoloni di questo tono: “il comunismo non va”,  “pentimenti di Fidel Castro”, ” Fidel contro Raul” “cade l’ultimo avamposto comunista” eccetera eccetera con analisi politiche e commenti di inviati che stanno a Rio de Janeiro, a New York  o a Parigi, e forse non hanno mai messo piede all’Avana per capire cos’è Cuba, che succede veramente. Poi arriva un’agenzia in cui Fidel che corregge sostenendo che il giornalista Jeffrey Goldberg non ha capito esattamente il suo concetto e comunque il PCC resta l’unico partito alla guida del paese. Comunque sia a Cuba si annunciano forti cambiamenti nella politica sociale con lo stato che non può più mantenere oltre un milione di lavoratori e quindi partono misure per alleggerire i costi della spesa pubblica aprendo le porte al lavoro “por cuenta propria” (già sperimentato negli anni Novanta) e come trovare alternative lavorative per milioni di persone finora assistite. I ragionamenti più interessanti e più azzeccati sulle Incognite del futuro di Cuba sono quelli dello scrittore e giornalista cubano apparsi sul Manifesto. E lo fa apertamente dall’Avana dove vive, senza tanti peli sulla lingua, in modo trasparente, libero e con senso di realtà guardando il mondo.  Le banalità e le ovvietà su ‘ricette proibite’ e ‘inferriate alle finestre’ le lascia ai blogguer che non hanno la vista corta perchè basta fare un salto in quartieri della Giamaica, Santo Domingo, Colombia, Venezuela, Brasile per rendersi conto che la sicurezza è un problema più o meno universale, più o meno accentuato. Ne sono esenti paesi del nostro Meridione ma anche del Nord italiano?Ma torniamo su Cuba:  pezzi pregevoli e frizzanti sono stati firmati anche da Massimo Cavallini e Maurizio Chierici su Il Fatto Quotidiano.  Questi riferimenti non per negare la grave crisi che sta attraversando il popolo cubano e non per difendere il sistema governativo socialista, che non abbiamo esitato a criticare sulle contraddizioni e su forti miopie che bloccano la democrazia e lo sviluppo. Ci preme sottolineare ancora una volta la mancanza di coerenza, imparzialità, serietà e deontologia professionale dei mezzi di informazione che si occupano  con assiduità e con ‘amore’ dei destini dell’Isla Grande socialista, mentre scompaiono dai giornali e dai notiziari i morti ammazzati nelle strade, le infamie dei narcottrafficanti  che uccidono sindaci e cittadini comuni e controllano gran parte delle economie di paesi democratici come Salvador, Guatemala, Honduras, Messico, Colombia, alla frontiera tra Messico e  Stati Uniti. Senza dimenticare il Venezuela bolivariano dove nonostante  una politica di maggior giustizia sociale  Caracas è una delle città con un tasso di omicidi da far paura. Bene, è un atteggiamento corretto ed equialibrato quello della nostra stampa o è al servizio di qualche interesse o cultura politica? E un’ultima domanda, non polemica, che faccio prima a me stesso, ma approfitto per rivolgere anche agli studiosi e sostenitore della democrazia e della libertà: dovendo obbligatoriamente scegliere, è  più rassicurante andare in vacanza all’Avana o nelle  Tegucigalpa, Tijuana, Città del Messico, Tamaulipas?

17 settembre 2010,Brasile. Tra qualche giorno la stampa si occuperà certamente del Brasile dove il 3 di ottobre si terranno le elezioni presidenziali senza Lula da Silva. Dopo due mandati si dovranno tirare le somme e sarebbe interessante capire se una parte della sinistra è soddisfatta delle trasformazioni fin qui realizzate, anche se si legge che borse e favelas stravedono per quanto fatto da Lula. Dati alla mano, è vero che 20 milioni su 190 milioni dei brasiliani sono riusciti ad uscire dalla povertà e la fame non è più un problema come lo era fino a una decina di anni fa, ma criminalità, corruzione, insicurezza e narcotraffico sono piaghe che procurano troppo sangue. Tuttavia, piaccia o meno, il lavoro svolto e la credibilità conquistata nel mondo fanno di Lula uno dei leader del Brasile più positivi della storia recente.