CUBA libri.Torna “Cimarrón – Biografia di uno schiavo fuggiasco” di Miguel Barnet

Che bello tuffarsi nuovamente tra le pagine della Cimarrón- Biografia di uno schiavo fuggiasco dell’etnologo e scrittore Miguel Barnet di cui è appena stata pubblicata la nuova e bella edizione italiana a cura di Elena Zapponi, presentazione di Italo Calvino per i tipi della Quolibet edizioni di Macerata

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Buena Fe è guantanamero

4. agosto 2010 – 12:34No Comment
Buena Fe è guantanamero

Chiacchierando con l’amico-musicista cubano Edesio Alejandro dei gruppi musicali attuali più importanti dell’Isla Grande è spuntato  subito il nome di Buena Fe. Un duo  di nuevatrova-pop che, da solo,  è riuscito  nell’impresa titanica di portare circa 400.000 persone nella Plaza de la Revolución dell’Avana (quella delle adunate oceaniche di Fidel e anche del recente megaconcerto Paz Sin Fronteras di Juanes, Miguel Bosé, Jovanotti eccetera). Questa formazione riempie teatri di mezzo mondo, ma è completamente sconosciuta alla maggioranza dei nostri lettori. L’occasione per incontrare  Israel Rojas Fiel, leader di Buena Fe, è il rientro  da Miami dove ha cantato da poco (e vi ritornerà presto) per costruire concordia con i cubani dell’altra sponda. Israel è un giovane guantanamero, cantautore, compositore, avvocato,  dotato di grande oratoria e, diversamente da tanti colleghi del suo Paese, è combattivo, secco nel rispondere, e non si sottrae di fronte ai temi delicati di politica. Insomma un tipo battagliero. Ecco il botta e risposta.

Partiamo dal tour negli Stati Uniti. Significa che il bloqueo si è allentato?

Obama, rispetto a Bush che aveva quasi azzerato i rapporti, ha attivato una politica che ricorda quella di Clinton,  più rigida in campo economico ma favorisce l’interscambio culturale, scientifico e umano con lo scopo, secondo loro,  di impressionarci con  un po’ di fumo negli occhi, di illuderci o abbagliarci con il modo di vivere statunitense. Il “tiro por la culata” con noi gli è andato male, ha fatto cilecca: non tutti i cubani aspirano a quel modello di vita e io amo vivere qui a Cuba. Gli Stati Uniti, come altri paesi, mi piacciono per andare a cantare, visitarli e conoscere culture. Credo in un interscambio reciproco e rispettoso, e vorrei che qui venissero tutti, e  Juanes ha dimostrato che si può. E’ stato importante  incontrare la comunità cubana di Miami (la più grande dopo quella di Cuba) e vedere che la composizione di quella comunità è meno monolitica, più eterogenea, e gli ultra-anticubani sono una minoranza.

Sarebbe più corretto definirli anticastristi, perché anche loro sono cubani.

Sì e no,   è un argomento complicato: costoro dicono di fare cose in favore dei cubani, ma non è vero. E’ un enorme commercio montato per mungere la vacca grande, cioè gli Stati Uniti, in funzione della libertà di Cuba pretesa a loro modo, che non è ciò che vuole la maggioranza del popolo cubano, che in cinquant’anni avrà avuto tempo per cambiare indirizzo o no? Quelli hanno fatto traffici sporchi contro i propri fratelli. A ogni libbra di benessere che quel ristretto settore ha in Florida corrisponde  una tonnellata di sofferenza per chi è rimasto qui. Hanno abbattuto aerei, ucciso persone e potrei continuare. Si mascherano da anticastristi, ma i fatti dimostrano altro. Ad esempio, ogni volta che un artista andava a Miami  in rappresentanza di Cuba lo ripudiavano.

Come accadde a Gonzalo Rubalcaba o a Los VanVan. Ma ora è diverso e dove avete suonato?

Un gruppetto ha fatto un po’ di casino dal lato opposto delle entrate del locale, ma si tratta di proteste piccole e anche ridicole, dicendo che eravamo mercenari di Castro e stupidaggini di questo tipo. Però l’enorme pubblico  – e tra questi è indubbio che ci fosse gente a cui non piace la Rivoluzione, è legittimo – intervenuto ai concerti  ha rispettato la cultura di Cuba. A questa gente disponibile per eliminare rancori e paure abbiamo dedicato canzoni con amore per costruire concordia e riconciliazione. Persone emigrate negli ultimi anni per problemi economici, non in esilio, ma in cerca di benessere materiale come tanti: messicani  o altri latinoamericani, o asiatici, non entrano negli USA per analoghi motivi? L’accoglienza è stata favolosa nei vari concerti tra il Teatro Manuel Artime e il locale The Place. E’ stato un arcobaleno di emozioni e affettività. Nel sito www.buenafecuba.com trovi una galleria fotografica  e video che documentano  questi momenti musicali toccanti, tra lacrime e allegria e mostrano  che i media anticubani, pur se ancora  in possesso di enorme  potere politico ed economico, stanno perdendo potere perché la sua base,  la gente, ha smesso di credergli e valuta diversamente chi ha deciso di vivere, sognare, amare, lavorare a Cuba, come noi.

Torniamo a Cuba, si fa per dire, per scoprire Buena Fe dai primi passi.

E’ iniziato tutto nel 1999 a Guantanamo dove io  e Yoel Martinez (chitarrista, l’altra metà del duo) siamo nati. Yoel (il padre è il chitarrista del famoso  Trio Martinez,) ha respirato sempre musica popolare, diplomandosi poi in studi classici. Nella mia famiglia invece nessuna tradizione artistica, Io ho studiato Diritto,  ho svolto la professione di avvocato, ma fin da piccolo canto e all’età di 14 anni incominciai a scrivere canzoni per hobby. Mentre stavo cantando con un amico, un bel giorno Yoel, che non conoscevo, mi propone di fare qualcosa assieme e come gioco è nato il duo. I brani piacevano e così aumentò la voglia di fare  e sperimentare con la canzone. Il risultato fu che – grazie all’Associazione Hermanos Saiz, un’organizzazione cubana di giovani artisti  – partecipammo ai principali festival del Paese di Trova, Nueva Trova, canzone impegnata  e nel 2001 arrivò il primo disco, Dejame Entrar (Egrem). Questo Cd ci fece conoscere in tutta Cuba, ci trasferimmo nella capitale ed entrammo nel vasto panorama  della musica cubana. Abbiamo cominciato con chitarra e due voci,  ma per incidere il primo disco (e i 4 successivi) montammo un gruppo, stimolante anche per perfezionare via via il nostro stile in cui spicca il verso, la poesia, la critica, che uniamo a melodie e ritmi moderni di pop-rock senza trascurare  la nostra tradizione di son, bolero ecc.  Il nostro canto viene dalla trova cubana, quel tronco che non è altro che canzone d’autore. Beviamo un po’ da molte sorgenti, dalla poetica della canzone cubana, che si dice abbia inizio con la Trova tradizionale, rielaborata poi da Silvio Rodríguez, Pablo Milanés, e da altre generazioni non sempre riconosciute. In sintesi, il nostro versificare l’abbiamo ereditato da queste espressioni nazionali, da correnti latinoamericane e tentiamo di combinare tutto armoniosamente con sonorità rock,  internazionali e contemporanee.

Qual è stato il vostro concerto più importante  che ricordate con maggior affetto?

12 agosto 2008, Plaza de la Revolución dell’Avana, un evento straordinario  filmato nel dvd Buena Fe live, Diez Años De Canciones, che ti consiglio di portare in Italia, dove non siamo mai stati, mentre invece abbiamo fatto diversi tour in Spagna, Francia, Inghilterra e Russia.

Di solito per riempire Plaza de la Revolución, tra le imponenti figure di José Martí e di Che Guevara, si invitano molte orchestre. Chi ha condiviso il palcoscenico con voi e quanta gente c’era?

E’ vero, ma quel giorno c’eravamo solo noi, uno spettacolo immenso, gratuito. Tu conosci quel luogo e quindi… Devi guardarti il dvd, non mi piace dare delle cifre, ma si dice fossero circa 400.000 persone.

Impressionante tanta gente. Forse non sareste riusciti a vederla solo  con un cannocchiale. Già, Catalejo,  l’ultimo album, vuoi parlarcene?

Hai ragione (ride) ne servivano certamente alcuni.  Con Catalejo abbiamo voluto fare un omaggio a una sequenza famosa di Memorias del Subdesarrollo, un film capolavoro di Tomás Gutiérrez Alea, il regista più noto del cinema cubano. Nel film c’è un personaggio, Sergio, che  utilizza il cannocchiale per guardare la società in movimento, la vita, il cambiamento. Da lì lo spunto per metterci dietro questa lente, vedere la società e cantare i temi che riguardano la realtà sociale quotidiana.

Ma ci sono anche parole e note musicali come quelle di La Otra Orilla?

In un certo senso sì, anche se il brano fantastico di Frank Delgado (importantissimo cantautore) che abbiamo cantato varie volte ci riporta indietro nel tempo e mi ricorda la prima volta che io e Yoel andammo a suonare fuori dalla nostra Guantanamo per esibirci a Cienfuegos  in un evento di Trova. Lì c’era il trovador Frank  e ci colpì il  modo in cui questo artista rifletteva i problemi giornalieri, e la diaspora tra le sponde, argomento che – pur focalizzandoci maggiormente su ciò che succede a Cuba –  affrontiamo assieme a quelli dell’amore, disamore, distacco, crisi del nostro tempo. E l’emigrazione è uno dei problemi di oggi, ne indaghiamo cause, sradicamento, nostalgia, ritorno degli emigranti quando rientrano in Patria. Cantiamo tutto ciò tra ombre e luci.

A proposito di ombre. Nella tua Isola non è affatto facile navigare in rete e questo penalizza molto un artista.

E’ una conseguenza dell’embargo dei gringos,  i quali hanno impedito a Cuba l’accesso  a Internet a banda larga.  E grazie al Venezuela è possibile che dal prossimo anno un collegamento a una piattaforma continentale ci risolva un po’ di problemi. Realmente qui la connessione satellitare è poca, ma ripartita abbastanza bene. Tieni conto che pur essendo un paese quasi privo di accesso alla rete c’è moltissima informatizzazione. Ci sono Facoltà di Scienze Informatiche in tutto il paese e quelli che dicono che il governo non permette ai suoi cittadini l’informatica e la comunicazione raccontano bugie. Un paese fa sforzi per farli studiare informatica e utilizzare i computer e poi nega loro l’utilizzo?

Il discorso è un po’ più complesso, non possiamo parlarne ora ma le difficoltà ci sono.

Certo, ma il problema è tecnico, non di volontà politica e dobbiamo distribuire quel po’  che abbiamo a scuole, ospedali, e artisti.

Se è difficile ricevere mail con allegati di modestissima dimensione, e l’ho vissuto io stesso in questi giorni, come riuscite a montare pagine e aggiornare il vostro sito web?

Funziona così: abbiamo un server in Canadà, mandiamo a un amico le informazioni con mail. Quando si tratta di files pesanti, inviamo Cd ecc. con il corriere DHL.

Più o meno, immagino, come la blogguera dissidente Yoani Sanchez?

Esatto, un procedimento analogo. Noi lo facciamo con uno scopo culturale, per fare musica, lei con un fine politico. Per questo motivo, qui nessuno è innocente.

Gian Franco Grilli

Parte dell’intervista è stata pubblicata su  JAM – Viaggio nella Musica (giugno 2010)

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