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Casa del Jazz: tra Hard-Bop e Nu-Jazz

1. giugno 2015 – 16:06No Comment
Casa del Jazz: tra Hard-Bop e Nu-Jazz

AlfaMusic & Casa del Jazz presentano due concerti il 6 giugno, ore 21, presso la Casa del Jazz (viale di Porta Ardeatina, 55 – Roma). Rompe il ghiaccio il quartetto di Ettore Fioravanti presentando l’album “Traditori”; a seguire il Fabrizio Mocata Quartet presenterà il cd “Letter from Manhattan”. Entrambi gli album sono stati pubblicati dall’etichetta AlfaMusic.

Traditori

Noi musicisti siamo traditori per vocazione, abbiamo in testa certe musiche (nel caso di questo disco certamente il jazz ma anche i Beatles, il Medioevo, le canzoni popolari, le danze, le donne, gli amori, le notti, ecc.) ma poi le travisiamo, siamo naturalmente portati a sporcare l’originale con la macchia del nostro vagheggiare ricercante. Se questo è un tradimento, come dice il Prof. Larotonda, è anche automaticamente (e dolorosamente) un’onta, ma poi ci accorgiamo (e il Professore ci conforta) che è insieme positività e paradossale rispetto della tradizione, proprio perchè viene tradita. Alla fine noi tradiamo noi stessi, ed è una spirale infinita che ci rende vitali. (Ettore Fioravanti)

Letter From Manhattan

Chi dice che i più giovani non abbiano a mente la migliore tradizione jazzistica, mente anche a sé stesso. Basta darsi un’occhiata in giro e spolverare le orecchie dalle frasi fatte e dai déjà écouté che si possono incontrare per strada. Fabrizio Mocata appartiene a un novero probabilmente ristretto, e stretto nella morsa

del volere andare avanti a tutti i costi quando non si ha nulla da dire. Il pianista siculo, invece, ha le idee ben chiare, perché alla sua agilità e al suo talento sulla tastiera unisce un particolare gusto per l’armonia, tutto italico. Il suo recente passato è fatto di classica e jazz: ben fusi dalla sua abilità nel far coincidere perfettamente i due linguaggi. Poi, o forse prima, c’è il tango, la musica argentina declinata nella sua terra natia, dove il Nostro è di casa. Questo background, in apparenza, non s’acconcia a questo lavoro. Appunto: solo in apparenza, visto che se è vero che Letter From Manhattan suona quel sano jazz che prende i muscoli e i sensi, è altresì vero che s’intrufolano sotto le sue coperte tante altre musiche, tanti altri linguaggi opportunamente oleati, smussati che pigmentano ogni singolo brano di questo album. Il suono è del piano jazz trio: al fianco del leader ci sono i due «americani» Marco Panascia, geniale interlocutore delle invenzioni ritmiche di Ferenc Nemeth; poi, un’ospite da parterre de rois, il sassofonista George Garzone che lì dove mette la sua voce aggiunge cromatismo e virilità. In questo disco nulla è lasciato al caso: vi è la cura del particolare, le esperienze di Mocata che vengono fuori non con prepotenza, ma anche con sicura eleganza. (Alceste Ayroldi)

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