CUBA libri.Torna “Cimarrón – Biografia di uno schiavo fuggiasco” di Miguel Barnet

Che bello tuffarsi nuovamente tra le pagine della Cimarrón- Biografia di uno schiavo fuggiasco dell’etnologo e scrittore Miguel Barnet di cui è appena stata pubblicata la nuova e bella edizione italiana a cura di Elena Zapponi, presentazione di Italo Calvino per i tipi della Quolibet edizioni di Macerata

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CrossLATIN: Jazz cubano oltre frontiera

12. marzo 2018 – 22:58No Comment
CrossLATIN: Jazz cubano oltre frontiera

Una parte di questo articolo,  che racconta tutti gli appuntamenti con i protagonisti del latin jazz e musicisti latinoamericani presenti  alla rassegna itinerante Crossroads 2018, è pubblicato su PAN -Performing Arts Network, n.1- febbraio 2018.  Di seguito potete leggere il testo completo.

 

Si fa presto a dire Latin, ma dentro a questo stile c’è un grande arcipelago culturale e musicale dove per molti anni Cuba e Brasile hanno dominato grazie anche ai giochi politici ed economici americani (Usa!) condizionando ovviamente gli imprenditori musicali sul che fare. Per capire le ragioni di certi fenomeni, di certe mode, vi porto questo esempio che un po’ dovrebbe spiegare quanto appena detto: il posto esotico dipinto di mambo, cha cha cha, rumba e cubop che l’isola caraibica del generale Fulgencio Batista possedette sino alla fine degli anni Cinquanta nell’immaginario (e non solo) statunitense venne occupato dal Brasile – nuovo paradiso tropicale animato da samba e bossanova – all’inizio del Sessanta, pochi mesi dopo il trionfo della Rivoluzione di Fidel e Che Guevara. Da qui, per quel che ci riguarda, l’inarrestabile decadenza della musica cubana (e naturalmente dell’afrocuban jazz) causata dall’embargo punitivo imposto dagli Stati Uniti agli intransigenti barbudos rebeldes cubani. Quindi per molti anni parlare di Latin (ma prima di arrivare a questo unificante nome queste musiche potevano chiamarsi rumba, jazz creolo, cubop, jazz afrocubano, mambo e samba jazz) ha significato fare i conti soprattutto con Cuba e Brasile. Poi sono avvenuti tentativi per cambiare qualcosa. Per L’Avana, ad esempio, alla fine degli anni Settanta furono salvifiche le visite degli “ambasciatori” Dizzy Gillespie e Bruce Lundvall (CBS) per lanciare l’aperturismo di Jimmy Carter verso Cuba, che musicalmente approfittò della mano tesa per “invadere” gli Stati Uniti con le nuove sonorità esplosive degli Irakere, poi il talento di Paquito D’Rivera e così via. Ma strada facendo quello che all’inizio di queste note ho descritto come un arcipelago è diventato un Continente con millelingue sonore e così sotto l’ombrellone Latin oggi è possibile trovare di tutto: jazz en clave, salsa jazz, bossanova, musica ripetitiva che non guarda avanti e tende a conservare il passato, esperimenti marginali privi di sostanza e spesso sgrammaticati, oppure i più ortodossi progetti di jazz intrecciati con son, rumba, danzón, guaracha, currulao, cumbia, joropo, chacarera, tango, milonga, samba, choro, elettronica. Ma dentro questo eterogeneo mondo sono apparsi anche giovani, ignorati dalle nostre parti, che hanno saputo rinnovare l’esperanto musicale afrolatinoamericano intrecciandolo con successo a tradizioni spesso lontanissime dal Sudamerica. Dopo questa lunga ma credo necessaria premessa arriviamo a Crossroads e nel farlo ci è sembrato altrettanto necessario calarci per un attimo nei delicatissimi panni delle menti organizzative alla prese con il duro lavoro di scrematura tra le proposte arrivate sul tavolo confrontato con le proprie idee e naturalmente tenendo d’occhio il bilancio. Infatti per un direttore artistico e il suo staff stilare un programma con scelte vincenti non è comunque mai facile; azzeccare poi gli artisti giusti di un’area culturale di cui si sa pochissimo, oltre che rischioso è complicatissimo. Niente paura: il sapiente team di Jazz Network con grande perizia ha perlustrato non solo i grandi sentieri su cui camminano le star ma anche gli angoli reconditi per scovare quei musicisti in possesso di spunti nuovi dentro, fuori o borderline del mondo Latin. E ce l’ha fatta ancora una volta a sorprenderci con belle novità.

Eccoci dunque a presentare la variegata e ricca vetrina di jazzisti dell’America Latina, dove torna a spiccare Cuba, con maestri affermati e già apprezzati dal pubblico della kermesse emiliano romagnola come Omar Sosa e giovani talenti mai sentiti prima in questo circuito (e pochissimo anche nel resto del Paese) come Alfredo Rodríguez, Yilian Cañizares (in duo con Sosa in Duo + ospite il venezuelano Gustavo Ovalles, un ritorno) e Marialy Pacheco solo per citare alcuni di quelli che si esibiranno con progetti Latin. Infatti la lista si allarga, perché spulciando attentamente dentro il fittissimo e immenso programma generale di Crossroads scoprirete altri jazzisti latinoamericani di vaglia come il sassofonista argentino Javier Girotto nell’Omaggio a De André (10 aprile, Imola) e i cubani David Virelles, pianista del Tomasz Stanko New York Quartet (4 aprile, Parma) e Omar Rodríguez Calvo, contrabbassista di Tingvall Trio (22 marzo, Solarolo -RA). Latinos intrusi in altri contesti della rassegna, ma non escluderei a priori delle sorprese poiché si sa che l’artista ovunque si trovi porta sempre con sé la propria identità, le proprie pronunce. Infine aggiungerei all’elenco il pianista panamense Danilo Pérez, alla guida del trio all stars Children of the Light, con nomi dall’enorme peso specifico come John Patitucci al contrabbasso e Brian Blade alla batteria (San Lazzaro di Savena, 16 aprile); e anche l’”one-man-band” dal retroterra latineggiante: Raul Midón, afroamericano, padre di origini argentine, che ritorna l’11 maggio (CISIM, Lido Adriano- RA) con performance ricchissime di accenti e ingredienti latin. Nell’attesa, consiglio di rileggere il brillante articolo di Sandra Costantini “Raul’n’Soul” (PAN n.1/2015).

Cuba No, Cuba Sì. Per questa edizione saltano il turno figure leggendarie dell’afrocuban jazz come il pianista-bandleader Chucho Valdés (il principale artefice del riscatto internazionale dell’afrocuban jazz), il trombettista Arturo Sandoval e il pianista Gonzalo Rubalcaba già passati sui palcoscenici di Crossroads. Sì invece ad artisti delle nuove generazioni per mostrare l’Afrocuban Jazz 2.0, o se vi piace di più, il Latin jazz cubano del terzo millennio oltre frontiera. Sì perché tutti questi giovani musicisti, con l’ambizione di realizzare itinerari personali trascendendo i limiti culturali e geografici non solo di Cuba ma del mediterraneo caraibico, hanno tagliato la corda salpando verso l’Europa (e altri negli Usa) sentendosi un po’ stretti dentro il “ghetto” del jazz en clave, troppo schematico, ripetitivo, visto come una sorta di monocultura linguistica derivata dal son. Sulla storia del padre dei ritmi cubani, della salsa e del latinjazz è sempre fondamentale il saggio di Alejo Carpentier, La Musica en Cuba.

Omar Sosa Palacio, gradito ritorno. Il caposcuola (dai più giovani considerato il guru) di quel “movimento” musicale che dall’”esilio” ha rilanciato il sound di Cuba su un piano mutato, ibridato, facendone un linguaggio universale è indiscutibilmente il pianista, tastierista e percussionista nato a Camagüey nel 1965. Emigrato nel 1993 in Ecuador, poi negli Stati Uniti e da tempo residente a Barcellona, Sosa è il più cosmopolita dei jazzisti afrocaraibici la cui carta vincente iniziale fu quella di combinare gli africanismi sonori presenti nelle Americhe e successivamente intrecciarli con quelli ancestrali del Continente Nero. “Un fuoriserie”, secondo Chucho Valdés, l’infaticabile Omar è mosso da una sconfinata curiosità culturale che lo ha portato ad amalgamare, con sapienza, jazz con tocco alla Monk, latin, canti e ritmi batá, elettronica e rarissime musiche del mondo. Per informazioni approfondite sull’artista vi rimando a Pan n.1/2017 (http://www.erjn.it/pan/pag7.htm) e Musica Jazz (giugno 2017).

Interrogato sul nuovo progetto in programma a Crossroads Omar Sosa risponde così: «E’ musica che vuole mostrare la visione personale di artisti di due generazioni dopo aver lasciato l’Isla Grande. Punto di vista musicale maturato in Europa, che indubbiamente ne ha influenzato l’estetica creativa e la stessa sonorità. La cubanità, le radici, i ritmi e le nostre tradizioni sono presenti, sempre, però con un’ottica che riflette le nostre nuove esperienze artistiche e di vita personale». Sosa finora ha firmato una trentina di album e a Correggio (26 maggio) presenterà in anteprima le musiche, ma non solo quelle, di «Aguas», il nuovo album (che uscirà a settembre 2018) firmato con Yilian Cañizares. Per il concerto al Teatro Asioli il Duo cubano ha invitato il percussionista venezuelano Gustavo Ovalles.

Jazz cubano donna.

Yilian Cañizares, violinista, cantante, compositrice è nata nel 1983 all’Avana. A quattro anni canta con Meñique, gruppo di bambini molto famoso a Cuba. Per otto anni studia contemporaneamente piano e violino. Ma predilige l’archetto e dall’Avana va a Caracas per perfezionarsi presso l’importante scuola El Sistema, nella medesima classe con Gustavo Dudamel. Iniziata al culto della santería è “figlia” di Ochún, la dea della femminilità, dell’amore, dei fiumi; Ochumare (2013) è il suo disco d’esordio come solista, ma ne annovera altri due. Seducente, dolce, simpatica, Yilian da alcuni anni risiede a Losanna (anche per amore), città da cui parte per suonare in ogni dove di tutto, tra sacro e profano, classica e jazz, son e pregón, Chopin e Grappelli, canta in spagnolo, lucumì e francese. E a proposito del prossimo tour con Omar Sosa mi racconta che «Suonare con Omar rappresenta una tappa importante poiché è il mio idolo, il mio eroe, la mia guida musicale e spirituale. Condividiamo cose che vanno al di là della musica, c’è una connessione di tipo ancestrale tra di noi che non richiede tante parole per intenderci e lo si percepisce sul palcoscenico».

Ancora jazz in gonna con Marialy Pacheco, “Artista Bösendorfer”, prima pianista jazz donna in tutto il mondo ad avere questo privilegio. Nata a L’Avana nel 1983, figlia d’arte, a sette anni inizia gli studi classici di pianoforte che completa e integra studiando composizione all’Instituto Superior de Artes, l’Università cubana della musica. Ha esordito nel gruppo jazz rock cubano Mezcla del chitarrista Pablo Menéndez; nel 2002 vince il concorso Jo-Jazz, che le permette di incidere il suo primo album «Bendiciones». Poi si trasferisce in Germania dove comincia a farsi conoscere nei circuiti jazz di livello internazionale (ma da noi è ancora una illustre sconosciuta). «Il mio primo contatto con il jazz – afferma – viene da «The Köln Konzert» di Keith Jarrett, il pianista che mi ha ispirata più di tutti ma la lista è lunga: Emiliano Salvador, Chucho, Gonzalo, Art Tatum, Oscar Peterson, Brad Mehldau e… Omar Sosa con il quale ho inciso El Bola, il primo degli otto duetti dell’album «Duets» dove ho invitato un po’ di amici musicisti preferiti, tra cui il famoso percussionista marocchino Rhani Krija (che ha lavorato con Sting, Herbie Hancock ecc.) con il quale sarò a Crossroads (16 maggio, Correggio) con un progettino che unisce jazz afrocubano e ritmi del Marocco prendendo spunto dalla nostra versione spumeggiante di Burundanga (che la cantò anche Celia Cruz) presente nel disco citato».

Spumeggiante e swingante, tra latinjazz e worldmusic, sarà anche la proposta del pianista Alfredo Rodríguez raccolta in «The Little Dream» (2018, Mack Avenue –distr. Egea) il suo quarto album. Scoperto a Montreux da Quincy Jones, diventato poi il suo grande sponsor, è nel 2009 che il giovane Rodríguez (L’Avana,1985) lascia Cuba attraversa la frontiera messicana tra mille difficoltà, e viene accolto negli Stati Uniti dove gli si apre una grande finestra. Mi sottolinea più volte che «Dagli Usa è più facile vedere le radici della musica cubana, giocare con l’improvvisazione e fare jazz. Cuba è un paese di mille contraddizioni e quindi pensai di lasciarmi alle spalle quel mondo, sentivo che i miei ventitre anni meritavano un altro posto in cui sperimentare cose nuove, imparare di più sull’improvvisazione, sapere ciò che stava succedendo nel jazz a livello mondiale, tutte cose impossibili restando nella mia terra, dove appena posso ritorno a visitare senza problema di nessuna genere». Come Marialy Pacheco anche Alfredo venne folgorato all’istante da «The Köln Koncert», uno dei pochi dischi jazz che circolavano tra i musicisti della capitale cubana. Per saperne di più sull’artista vi rimando all’intervista su Musica Jazz (Agosto 2016). Da Los Angeles intanto ci anticipa qualcosa sul progetto che presenterà a Crossroads (30 marzo, Fusignano – RA): «Quello che fa la differenza di questo quarto disco è il trio. Dopo aver lavorato molti anni in progetti con molti artisti provenienti da tutto il mondo, sentivo l’esigenza di incidere con i miei tre amici con i quali condivido da tempo il palcoscenico portando nuovi colori e sonorità dei nostri paesi di provenienza, nulla a che vedere con il trio jazz classico. E’ latin jazz con influenze di world music e nostre personali esperienze di vita. C’è sabor perché siamo latinoamericani: Michael Olivera, batteria, è cubano e vive in Spagna; Munir Hossn, chitarra e basso, è brasiliano e risiede a Parigi. E’ musica maturata fuori di Cuba, ma clave e montuno, le nostre radici, sono sempre con me». «The Little Dream» presenta anche l’immortale bolero Besame Mucho e una versione strumentale di Vamos todos a cantar, genere infantile. Qual’è il piccolo sogno, gli chiedo: «E’ il fanciullino che è in noi con l’immaginazione e la creatività; è la speranza che un piccolo sogno possa trasformarsi in una grande realtà, con pace e giustizia tra gli uomini, una risposta all’incerto clima mondiale odierno. Abbiamo omaggiato la grande autrice messicana ». Un bellissimo bolero jazzificato con brio, prezioso, come il programma CrossLatin 2018. (G.F. Grilli)

Gustavo Ovalles

Raul Midon

Javier Girotto

Alfredo Rodriguez

 

Yilian Canizares

Marialy Pacheco

Omar Sosa

Danilo Perez (centro, Blade sin, Patitucci dx)

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