LATIN JAZZ con  FLAMENCO: Daniel García Trio

Bellissimo omaggio ai grandi precursori del jazz flamenco e una nuova via al latin jazz quello che abbiamo ascoltato a Correggio Jazz 2024 con “La Via de la Plata” dal trio del pianista spagnolo Daniel García completato da due musicisti cubani (entrambi di Santa Clara): il contrabbassista Reinier Elizarde “El Negron” e il batterista Michael Olivera.

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CILE. “Bestiario del Popolo della Terra…” di Marcelo Escobar

20. dicembre 2023 – 23:02No Comment
CILE. “Bestiario del Popolo  della Terra…” di Marcelo Escobar
Intervista a Marcelo Escobar, autore del Bestiario del Popolo della Terra e dell’arcipelago di Chiloé (Edicola Edizioni)  dedicato alle leggende dei popoli del Sud del Cile: una grandiosa operazione di recupero e riattualizzazione di una cosmovisione antica, i cui echi ancora segnano l’immaginario del territorio, che in 160 pagine racconta e illustra oltre 60 figure mitologiche, tra creature fantastiche, essere mostruosi, spiriti benevoli e animali prodigiosi.

 

Bestiario del Popolo della Terra e dell’arcipelago di Chiloé, un prezioso volume cartonato dedicato alle leggende dei popoli del Sud del Cile con 160 pagine, più di 70 illustrazioni, oltre 60 tra miti e figure leggendarie,2 mappe da appendere e 1 citazione segreta nascosta tra le sue pagine…

Riprendiamo da  El Gran Malon, la newsletter di Edicola Edizioni a cura di Mattia Mogetti, che ringraziamo

IN VIAGGIO VERSO L’ISOLA. Intervista a Marcelo Escobar

Pedro Marcelo Escobar Morales è nato nel 1970 a Puente Alto e dal 2020 è stato adottato dal porto di Valparaíso. Ha illustrato diverse opere letterarie e ha collaborato con il quotidiano “La Tercera” e la rivista mensile “El Desconcierto”, oltre ad aver esposto il proprio lavoro in varie mostre collettive. Ha vinto due volte il Premio Amster Coré per il Design e l’Illustrazione Editoriale: prima per il suo libro Mito del Reyno de Chile, invención ilustrada de un Chile secreto e poi, nel 2021, per il Bestiario.

Come ti sei avvicinato per la prima volta alle cosmovisioni del mondo mapuche e di Chiloé e cosa ti ha affascinato?

Il mio primo approccio alla mitologia di Chiloé è avvenuto grazie a un classico: Geografia dei miti e delle leggende del Cile, del grande studioso di folklore cileno Don Oreste Plath. Lo lessi da bambino e le sue straordinarie immagini rimasero impresse per sempre nella mia memoria. Il trauco e la fiura, il possente cavallo marino e la pincoya che balla nuda davanti al mare, furono i miei compagni in tante notti d’inverno passate accanto al fuoco con i miei nonni. Da allora, la mia fascinazione per quella lontana isola del Sud del Cile non ha fatto che crescere, fino a diventare un’ossessione: sono partito per la prima volta verso la grande isola spinto proprio da quel libro della mia infanzia.

Con gli anni, questo piccolo mondo è cresciuto in punta di libro, con la graduale scoperta della mescolanza culturale del Cile meridionale, dove si incrociano e si fondono le culture mapuche, huilliche e spagnola, insieme ad alcuni elementi europei, soprattutto olandesi. È così interessante esplorare questa contaminazione culturale: l’indubbia influenza della cultura mapuche, con la sua visione del mondo, la sua spiritualità così strettamente legata alla terra e che oggi potremmo definire ecologica, è un fattore determinante nella costruzione dell’identità di Chiloé, che prende questi elementi e li arricchisce per trasformare le foreste australi in una regione leggendaria.

Cosa ci può dire, secondo te, l’immaginario di questi popoli rispetto alla loro visione del mondo, ai loro valori e al loro sistema di conoscenze? Insomma, alla razionalità che si esprime, si comunica e si dispiega attraverso l’immaginazione (che poi possiamo dire due facce della stessa medaglia)?  E come viene trasmessa questa memoria? 

Penso che gli aspetti che con più forza sopravvivono tra i mapuche siano il profondo amore per la terra, il contatto vitale con la natura, la comunione tra il Wallmapu [NdT: il territorio del popolo mapuche] e i suoi abitanti: qualcosa da cui dovremmo prendere esempio.

I mapuche hanno trasmesso di generazione in generazione la loro spiritualità, la loro religione e le loro credenze attraverso un’oralità che sfocia nella poesia e che si lega saldamente all’ambiente, al paesaggio, in un rapporto con il territorio basato sul rispetto della natura, a cui il “popolo della terra” conferisce aspetti divini. Ne è un esempio il momento di passaggio della morte: in una cerimonia sacra molto complessa, con la morte dell’individuo inizia una serie di prove nel corso delle quali i parenti del defunto fanno di tutto perché l’anima, l’Am, riesca a completare il suo viaggio e a unirsi alle forze benevole che abitano il Wenu mapu [NdT: terra di sopra].

Abbiamo poi i poeti, custodi del mito, ambasciatori di questa sensibilità e della sua bellezza. Si pensi al discorso di Pablo Neruda in occasione del conferimento del Premio Nobel, in cui ha evocato un mondo che ricordava come un territorio magico, tra gigantesche piante di nalca e foreste sempre umide. Il più recente atto d’amore per questa sensibilità ancestrale, invece, l’ho letto nelle memorie del poeta mapuche Elicura Chihuailaf, che descrive un mondo verginale di foreste lussureggianti, ricche di vita e biodiversità. Fa male pensare che ricordi così recenti descrivano un paradiso che esisteva appena 50 anni fa e che la modernità ha sostituito con vaste pinete che si perdono all’orizzonte.

Storicamente lo sguardo degli esploratori europei ha una postura specifica: Otto Grosz arriva in un mondo che legge come altro, esotico, spazio dell’avventura e dell’immaginazione.

Agli albori della Repubblica cilena, un gruppo di saggi (come venivano chiamati all’epoca), tra naturalisti, antropologi, filosofi, pittori e linguisti, per lo più stranieri, si fece carico di un’impresa titanica: svelare i segreti di un territorio ancora inesplorato, censendo e catalogando ogni suo aspetto. Tra gli altri, per esempio, il tedesco Rodolfo Lenz, linguista di prim’ordine e, attraverso il suo lavoro lessicografico, tra i primi a descrivere in modo scientifico la cultura mapuche. Questi studiosi si confrontarono con la descrizione di quello che per loro era un mondo nuovo con una prospettiva innovativa, sforzandosi di assimilarlo e comprenderlo a fondo con lunghe esplorazioni e, soprattutto, attraverso la convivenza e il contatto ravvicinato con le popolazioni locali.

Avevi come riferimento testi, film o altro materiale a cui ispirarti per la creazione delle immagini? Puoi raccontarci del tuo lavoro con le illustrazioni?

Il mio lavoro, come quello di ogni artista, si avvale di elementi universali, raccolti in quello che considero un archivio di memoria visuale. Per le illustrazioni del Bestiario ho attinto a questo patrimonio. I riferimenti sono vari: vanno dall’incisore Theodor de Bry, uno dei primi cronisti delle Indie, agli antichi bestiari medievali, passando per disegnatori e illustratori come Oski, Rogelio Naranjo, Lukas, Luis Fernando Rojas e non solo.

Per la maggior parte delle immagini ho sviluppato un’estetica che simula l’acquaforte, con disegni a china molto carichi e uno stile di tipo barocco. Un mio importante punto di riferimento è stato un artista e incisore cileno poco conosciuto, che negli anni Settanta ha pubblicato una serie di libri illustrati caratterizzati da un tratto molto raffinato ed elegante e che ha saputo creare scenari stranianti e senza tempo riprendendo elementi della campagna cilena del XIX secolo: mi riferisco a Don Julio Palazuelos, a cui voglio rendere omaggio.

Puoi darci un assaggio di questo universo, raccontando una delle storie che più ti hanno colpito?

Tra le leggende di Chiloé, c’è una storia che ha catturato la mia attenzione negli ultimi 20 anni, quella di una società segreta che avrebbe controllato l’isola per secoli: la “recta provincia”, o “mayoría”, sarebbe sorta nel XVII secolo e avrebbe continuato a esercitare la sua oscura influenza sull’isola per almeno 200 anni, fino al 1880. Come avrebbe fatto a sopravvivere così a lungo, questa strana società con regole e gerarchie precise, con un’organizzazione che rifletteva come uno specchio la realtà, con re e subalterni, province e governatorati che riproducevano i possedimenti della corona spagnola e delle sue colonie, amministrando la legge e imponendo i suoi codici agli abitanti dell’isola? È solo una leggenda? O una realtà il cui nome risveglia antiche paure? Certo, non direi di credere alle streghe, ma se proprio insistete…

La storia del Bestiario del Popolo della Terra inizia nel 1889, quando, a soli 20 anni, Otto Grosz sbarca nel porto di Valparaíso come parte di una delegazione di soldati tedeschi. Ferito in battaglia, viene salvato da un gruppo di lavandaie, tra cui una donna di nome Lihuén.  Lihuén appartiene ai mapuche, coraggioso e tenace popolo originario del sud del Cile, il cui nome deriva da mapu, terra, e che, gente, ovvero popolo della terra. Grazie a Lihuén, Grosz entra in contatto con una cultura antica, il cui stretto rapporto con la natura e le sue forze ha generato nei secoli affascinanti miti e sorprendenti leggende, che il soldato tedesco descriverà minuziosamente nei suoi appunti. Molti anni dopo, il taccuino di Grosz si trova a Parigi, su una bancarella del marché aux puces di Saint-Ouen. Un amico dell’illustratore cileno Marcelo Escobar lo comprerà e gliene farà dono, facendo sì che quegli appunti che custodiscono storie di streghe, mostri, spiriti benevoli e animali prodigiosi tornino a prendere vita in queste pagine finemente illustrate.

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