CUBA libri.Torna “Cimarrón – Biografia di uno schiavo fuggiasco” di Miguel Barnet

Che bello tuffarsi nuovamente tra le pagine della Cimarrón- Biografia di uno schiavo fuggiasco dell’etnologo e scrittore Miguel Barnet di cui è appena stata pubblicata la nuova e bella edizione italiana a cura di Elena Zapponi, presentazione di Italo Calvino per i tipi della Quolibet edizioni di Macerata

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GRENADA: 12 ANNI SCHIAVO, miglior film

3. marzo 2014 – 23:13No Comment
GRENADA: 12 ANNI SCHIAVO, miglior film

“La grande bellezza” di Paolo Sorrentino trionfa con l’Oscar come miglior film in lingua straniera. Ma il grande vincitore è il cineasta britannico (nato da genitori originari dell’isola caraibica di Grenada) Steve McQueen con “12 Anni Schiavo” come miglior film.

Il cineasta britannico, ma con sangue nelle vene proveniente dall’isola caraibica di Grenada, Steve McQueen (foto) è il  primo regista di pelle nera a vincere nella categoria “Miglior film”.

Brad Pitt, co-produttore e interprete, minore, di questo lungometraggio, ritirando la meritata statuetta ha ringraziato per il riconoscimento aggiungendo che “è stato un vero privilegio lavorare sulla storia di Salomon Northup“, interpretato in modo straordinario da Chiwetel Ejiofor, principale protagonista.

12 Anni Schiavo racconta la storia vera di un afroamericano,  Solomon, di Saratoga (Stato di New York), sposato con due figlioli, uomo istruito, ottimo violinista che viene rapito nel 1841 con un inganno da due negrieri e portato in schiavitù in Louisiana tra piantagioni di canna da zucchero dove scopre condizioni tragiche, subumane. Nonostante la rabbia e la voglia di ribellarsi ai soprusi, Solomon sceglie di subire, accetta qualsiasi ordine, vessazione e punizione brutali dei padroni pur di sopravvivere e nella speranza di riconquistare presto la libertà, che arriverà invece dopo dodici anni e in  mezzo a tanti tormenti interiori, a tentativi di spedire una lettera al Nord, a scontri verbali anche con altri schiavi sul come comportarsi, sul fatto di essere oggetti e non esseri umani. Nei campi di cotone o all’ombra di grandi alberi da cui pende una ragnatela fittissima di tillandsia, cerca di sopportare le grandi sofferenze assieme agli altri lasciandosi trasportare mentalmente dal ritmo cadenzato e spirituale del canto responsoriale, il blues, richiamando la terra promessa, la sacralità del fiume Giordano.

Tra l’infinità di immagini di una crudezza incredibile, una merita una particolare attenzione perchè lascia senza fiato: è la sequenza quando Solomon resta appeso con un cappio al collo per moltissimi secondi, se non qualche minuto, mentre con le punte dei piedi tenta di toccare il terreno fangoso per evitare di venire strangolato dalla corda e, cosa straziante, tra l’indifferenza (=paura) degli altri compagni di schiavitù di quella azienda-piantagione.

Per concludere:  lo spettatore non può che stare dalla parte di Solomon  che alla fine riabbraccia moglie, figli e il nipotino nato durante la sua schiavitù. Un bellissimo e importantissimo film che tutti dovrebbero vedere per  non dimenticare la tragedia dello schiavismo,  riflettere sulle responsabilità di quel crimine ma anche su inadeguate risposte delle generazioni successive afroamericane per i torti subiti dagli antenati. Che non significa render pan per focaccia perchè a violenza non si risponde con la stessa merce, ma ripensare quella pagina nera dell’umanità in chiave costruttiva e di lotta alle ingiustizie, che non sono totalmente cancellate negli USA e nel mondo. Inoltre , a nostro avviso, una buona occasione per riandare con la mente nel continente sudamericano dove altrettante brutali violenze si sono consumate, da Cuba al Perù, da Haiti all’Argentina, dalla Giamaica al Brasile. /Gfg

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