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Cuba: l’ibrido YO di Roberto Fonseca

16. maggio 2012 – 01:22No Comment
Cuba: l’ibrido YO di Roberto Fonseca

Roberto Fonseca, pianista e compositore cubano, pubblica un nuovo album, innovativo. Yo è il titolo dell’ultimo cd (Jazz Village – distr. Ducale) realizzato da Fonseca con il suo affiatato quartetto/quintetto cubano assieme a un nutrito gruppo di artisti,  africani, un brasiliano e persino la voce del poeta cubano Nicolas Guillen (scomparso nel 1989).  Così che è proprio il caso di dire che Roberto ha sconfinato parecchio rispetto a ieri per scoprire le sue lontane origini, senza dimenticare Cuba e le sue passioni musicali.

Le novità di Yo si intravedono fin dalla copertina. Niente di che scandaloso in un mondo dominato dalle immagini, ma che crea un primo impatto nel mondo jazzistico più conservatore e di più se si conosce il personaggio timido e schivo che è il bravo artista avanero.  Si possono fare diverse letture del nuovo corso: volersi mostrare totalmente per liberare tutto il background personale di vita, culturale, religiosa e musicale fin qui maturato, e farlo attraverso il linguaggio che il giovane cubano conosce meglio e ha metabolizzato, la musica: dal rock al funky, dal blues alla fusion, dal jazz  alla tradizione afro-cubana, in parte, quest’ultima, scoperta suonando con i nonnetti del Buena Vista Social Club quando dovette sostituire il pianista Rubén González. Oppure, sempre in quel torso nudo stampato in copertina, possiamo vederci tutti i ritmi e gli stili snocciolati nel nuovo album come facenti parte di un unico tronco sonoro Afro & Afro-Americano ( non con il significato di jazz nordamericano che si utilizza impropriamente tra i critici di jazz)  ma delle Afriche, che vivono nel continente madre e nel Nuovo Mondo. E tronco, questo,  che in parte Fonseca aveva cominciato a indagare mediante le musiche ispirate alle religioni sincretiche che legano Cuba e l’Africa, dal Palo Monte alla Santeria. Semplificando si può dire che è crossover alla cubana, un ibrido di stili. In concreto,  analizzando bene il ventaglio di suoni, di voci, l’abbinamento di ancestrali strumenti con beat elettronici,  non è esagerato etichettarlo crossover=ibrido. Ma diciamoli con prudenza, che non ci senta l’autore, perchè solitamente quel termine toglie un po’ di qualità e identità alla proposta.  Inoltre, dire che Yo (distr. Ducale)  rappresenta un cambio di rotta radicale dell’artista è ancora presto, e chi vivrà vedrà. Certamente Yo è un nuovo linguaggio meticcio di jazzworld che si distacca dal jazz fusion del Fonseca leader di Temperamento (a cavallo tra fine Novanta e inizio Duemila) e un po’ meno, invece, dal  jazz afrocubano, (meditativo, spirituale e ricco di sonorità aperte) che ha padroneggiato negli album Zamazu e Akokan. Infatti, anche se con modalità differente,  Fonseca ritorna sul sentiero africano, incorporando nel progetto diversi musicisti di quell’area, dai maliani Baba Sissoko (vocalist e ottimo strumentista) e Sekou Kouyate, alla cantante Fatoumata Diawara  della Costa d’Avorio, l’algerina Faudel, il senegalese Assane Mboup, il bassista camerunese Ëtienne Mbappé, e anche il talentuoso chitarrista brasiliano Munir Hossn (nel cui sangue peraltro circola un po’ di queste culture ibridate).  E così tradizioni dell’Africa nera e di quella magrebina vengono mescolate a timbriche e colori del mondo occidentalizzato e a quegli africanismi sviluppatisi nel corso dei secoli al di là dell’Atlantico. Il frenetico e impetuoso  “80’s” apre questa cavalcata musicale  in cui troviamo melodie e corde africane, canti corali,  accenti nordafricani (Marocco, Algeria) e pian piano il mondo interiore di Fonseca si srotola, si toglie dall’impaccio con il sostegno di batà, congas, djembe, darbuka, talking drum, kora, n’goni,  remix, Hammond ma senza dimenticarsi dell’oramai rituale gesto affettivo  verso la madre  (pianista e cantante) come omaggio alla cubanità  e del culto religioso celebrato con “Siete Rayos” (orisha della Regla di Palo Monte che nella Santería corrisponde a Changò o Santa Barbara) in onore del dio del fuoco, del tamburo ma in generale di culti sincretici e delle molteplici etnie afrocubane attraverso la voce del poeta nazionale cubano Nicolas Guillen. Che è comparso nel lontano 1989 ma che la magia della tecnologia ci permette di risentire mentre recita alcuni versi sull’importanza dell’eredità africana  a Cuba:  “yoruba soy….y cuando no soy yoruba/ soy congo, mandinga, carabalì” . In un attimo ci sintonizziamo sull’aldilà, con le pratiche della Regla de Ocha, cui Fonseca aderisce con devozione. Avete visto, dunque, che le novità di questo album sono davvero tante? Basta osservare un po’. Noi ne abbiamo individuati soltanto alcuni dei punti di novità; ma ripartendo da capo chissà quanti altri spunti verranno captati dalla nostra mente per tentare di cogliere l’essenza del progetto estetico e umano di Yo. Buon ascolto e buona scoperta.

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