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Flowing Spirits del trio Consolmagno Salvatori Spinaci

21. novembre 2012 – 23:17No Comment
Flowing Spirits del trio Consolmagno Salvatori Spinaci

Dalla rinnovata collaborazione tra il multipercussionista Peppe Consolmagno, il sassofonista Nicola Salvatori e il chitarrista Simone Spinaci è sbocciato da poche settimane  l’interessante cd Flowing Spirits (Red records), in bilico tra John Coltrane, Ornette Coleman, accenti brasiliani,etnojazz, poesia e  worldmusic.

Senza nulla togliere a Salvatori e Spinaci, il personaggio chiave di questo album  è il versatile artista riminese Peppe Consolmagno, noto ai lettori di questo portale per la sua sterminata conoscenza sulle musiche brasiliane, sulle percussioni etniche e per la preziosa e profonda attività divulgativa di mondi musicali fino a qualche decennio sconosciuti ai più. Nel booklet spicca la bella presentazione-recensione di Sergio Veschi, produttore del cd, che ha saputo fotografare con estrema precisione le sonorità e le emozioni al centro di questo crocevia culturale in cui transitano jazz, worldmusic e sintassi musicali del Brasile. Ecco cosa scrive Veschi:

“Coltrane, Coleman e altro ancora fra Adriatico e Appennini

Ero presente la sera in cui queste musiche sono state registrate al Festival del Jazz Village di Pesaro, organizzato dal Fano Jazz Club. Capita, ma non troppo spesso e mai quanto sarebbe necessario, di assistere a delle performance magiche in cui si crea un feeling immediato e palpabile fra chi suona e chi ascolta. Quando questo succede è di solito dovuto a elementi imperscrutabili e difficilmente replicabili in altre situazioni. Il jazz è dove lo trovi e quando il soffio della poesia soffia è bene preservare quell’attimo fuggente, l’hic et nunc direbbe qualcuno, a futura memoria e per condividerlo con chi lo vorrà, dove e quando non si sa.
Non solo sono stati numerosi e convinti gli applausi ma altrettanto sono state le richieste degli ascoltatori presenti di avere un CD a ricordo della serata per poterne ricreare privatamente le emozioni condivise con i musicisti durante la performance. La pubblicazione di questo live risponde innanzitutto a questa esigenza.
Sono stato fra i pochissimi ad aver avuto una copia della registrazione del concerto e durante il mio ritorno in macchina da Pesaro a Milano l’ho ascoltato più volte sorprendendomi ogni volta, benché sia notorio chi io sia un ascoltatore difficile e pretenzioso, del fatto che quella musica mi piaceva e molto. Non fidandomi di me stesso, durante una cena con il mio amico e grafico Marco Pennisi a cui era presente anche Luca Conti, il neo direttore di Musica Jazz, l’ho fatto ascoltare anche a loro a mo di Blindfold test: senza rivelare chi suonava e dove fosse stato registrato. L’apprezzamento loro e di altri è stato unanime con il forte suggerimento di pubblicarlo.

Più che Jazz Jazz queste musiche si potrebbero etichettare, ammesso che questo abbia un senso ma tanto per capirci, come World Jazz e, credo non a caso, sono proprio i due temi di John Coltrane e Ornette Coleman a caratterizzarlo più di altri in questo senso. Il trio e la voce del tenore catturano lo spirito dei temi e dei tempi e né danno una viscerale quanto poetica versione che riesce ad emozionare chi l’ascolta per la forza contenuta nel tema e per l’espressività e assertività della sua enunciazione che sa far vibrare corde profonde nella sensibilità degli ascoltatori. Ma è anche un segno che questi repertori e concezioni musicali, nate in tutt’altro contesto e motivazioni, non hanno ancora esaurito la loro forza propulsiva.

Il resto è molto aggiornato perché spazia da un bel temino di Garbarek, anch’esso imparentato con il world jazz, a due loop di chitarra su cui sovrappongono altre voci e vocalizzi multi fonici del chitarrista e del percussionista.
Questa è oggi prassi abbastanza comune, che personalmente trovo alquanto deleteria, ma non in questo caso, nei gruppi della cosiddetta avanguardia. Cioè di quelli che a far qualcosa di nuovo ci provano ma quasi mai ci riescono.
I riferimenti di questo gruppo spaziano nel villaggio globale recuperando memorie e lacerti dell’età d’oro del jazz moderno fusi con memorie etniche siberiane, brasiliane e un appropriato utilizzo della tecnologia a fini espressivi e non rumoristici.

Ma al di là di tutto è proprio il tutto che funziona e sorprendentemente funziona proprio dove uno non si aspetterebbe mai di trovarlo. Da quelle parti ci sono nato e ritornandoci 50 anni dopo sono sorpreso, perché non me lo sarei mai aspettato, di trovare dei musicisti che non solo suonano Coltrane – una sera mi è capitato di sentire un valente quanto sconosciuto sassofonista suonare splendidamente Lonnie’s Lament di Coltrane in un paesino sperduto fra i monti dell’Appennino, – ma conoscono il jazz e molte altre cose che succedono nel mondo di oggi in posti apparentemente lontani ma che le nuove tecnologie hanno reso vicini.
L’importante é saperlo e possibilmente esserci. Se si riesce a combinare qualcosa, tanto per far capire che ci siamo stati anche noi è ancora meglio.
E’ per questo che mi piace che questo disco ci sia perché ha delle emozioni non balli da trasmettere ed è un segno di qualcosa che è successo, succede e che succederà ancora in altri luoghi e in altre forme in luoghi vicini e lontani.
Suggerirei anche ai jazz fans e organizzatori di prestare non uno ma tutte e due le orecchie a quanto succede sia nelle Marche che nella provincia di Pesaro Urbino dove, oltre al Conservatorio Rossini, ci sono numerosi e valenti musicisti che meriterebbero una più ampia esposizione. Ma questo vale anche per altri posti in Italia.

Sergio Veschi

La foto che riprende Peppe Consolmagno  con  il berimbau è di Gian Franco Grilli

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