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BRASIL: Roberto Livraghi e il jazz samba

12. febbraio 2014 – 17:10One Comment
BRASIL: Roberto Livraghi e il jazz samba

Il compositore Roberto Livraghi ci illustra il suo grande amore sbocciato negli anni Cinquanta prima per il jazz, poi per Don Marino Barreto Jr. e infine per la musica carioca, che l’ha fatto impazzire. “Da quel momento in poi – racconta Livraghi-  sono cresciuto a pane e Brasile”. Ora l’artista ligure ha voluto omaggiare quelle sonorità con il cd “Quando m’innamoro in Samba” inciso dalla Latin Colours Jazz Orchestra (Incipit records – distr. Egea). Di questo progetto e di altro si parla nell’intervista di Gian Franco Grilli.

ROBERTO LIVRAGHI e il jazz samba

Intervista a cura di Gian Franco Grilli

Compositore, musicista, cantante, il maestro Livraghi cresciuto “a pane e Brasile” ci illustra il suo grande amore sbocciato negli anni Cinquanta prima per il jazz, poi per la musica sudamericana e la musica carioca.  Dopo una lunga parentesi fuori dal mondo delle note e alla soglia dei settant’anni, l’artista ligure decide di rinverdire le sue grandi passioni, come produttore e come artista. In questa chiacchierata a ruota libera abbiamo ripercorso le fasi salienti della sua carriera di autore iniziata con “Maria” e la voce del cubano Don Marino Barreto jr., esplosa poi con il successo mondiale di “Quando m’innamoro”. Che ora è diventato il canovaccio su cui il Nostro sta costruendo nuovi interessanti progetti in bilico tra jazz, samba e latin.

Quando e come s’innamora della musica?

Fin da bambino amavo molto la musica, in casa c’era un pianoforte e mia madre lo suonava bene. Mio padre, che aveva un’azienda navale importante con sedi anche nel porto di Genova, sosteneva che un uomo dovesse lavorare e non dedicarsi alla musica poiché non la riteneva una professione. Per cui io non ho potuto dedicarmi allo studio del pianoforte in modo serio. Tuttavia cercavo di strimpellare suonando con un dito, poi ho imparato l’accompagnamento, e gli amici mi dicevano che suonavo benino,  ma non sapevo una nota di musica.

Se non sbaglio lei ha cominciato presto a comporre: vuole spiegarci quindi come faceva a scrivere le canzoni e depositarle per i diritti?

Sì, ho iniziato prestissimo e infatti sono iscritto alla Siae dal 1954, quindi ben 60 anni di iscrizione… e di royalties, per fortuna.  Beh, quando facevo sul serio il mestiere di musicista chiamavo una persona di fiducia alla quale sottoponevo delle armonie, che erano tra l’altro abbastanza complicate, scritte da me. Gli suonavo il pezzo perché lo ascoltasse e lo scrivesse, poi ritornava dopo tre giorni con lo spartito e me lo suonava. Poi alla soglia dei 70 anni ho deciso che volevo imparare a leggere e scrivere musica.

Anche armonia e composizione sono materie imparate da autodidatta?

Esatto, tutto da solo.

Il suo primissimo amore è il jazz. Chi erano i suoi idoli?

Come pianisti, Erroll Garner e Oscar Peterson. Successivamente ho adorato tantissimo Bill Evans, poi Michel Petrucciani e infine, nonostante alcuni suoi discutibili atteggiamenti, Keith Jarrett. Di questi artisti ho le discografie complete. Altri jazzisti che mi hanno affascinato sono Paul Desmond, Lee Koonitz e Dizzy Gillespie.

Quando e come sboccia  invece l’altro grande amore, quello per la musica sudamericana?

E’ partito tutto con Maria, la mia primissima canzone, per di più interpretata da Don Marino Barreto Jr.,  cubano, persona straordinaria con il quale siamo poi diventati grandi amici. Erano gli anni Cinquanta e la sua voce mi conquistò.  Tutto nacque così: una mia amica, che si chiama Maria (fato a lato), bella donna ancora oggi, di Genova, mi aveva mandato l’invito per il suo compleanno con un messaggio: “ti aspetto con una canzone inedita”. Così scrissi parole e musica di quella canzone e andai alla festa, e tutto finì lì. Due mesi dopo vado a Cortina e c’era Barreto con la sua orchestra e allora mi presentai: ”Buongiorno maestro, avrei scritto questa canzone intitolata Maria, e sarei lieto potesse ascoltarla”. Bene, l’ascoltò e impazzì di gioia: la incise e da lì è incominciata la mia carriera.

Di questo cantante cubano, tanto di moda negli anni Cinquanta, oggi si sa pochissimo. Vuole raccontarci qualcosa di questo artista che tra l’altro dicono aver trascorso gli ultimi anni della sua vita in condizioni precarie?

Barreto non è morto in miseria ma … deve sapere che era uno che amava mangiare bene, bere e divertirsi…quindi può ben capire, ne combinava di tutti i colori. Per me era fantastico come uomo. Le racconto questa: un giorno  in tarda mattinata mi telefona e mi dice “Senti, debbo fare una trasmissione televisiva e cantare un pezzo di Natale, ce l’hai? “ – “sì che ce l’ho”, risposi. E invece non avevo niente. Allora andai a casa di Nisa, famoso paroliere, e dissi che dovevamo fare un pezzo subito. Scrissi un brano molto bellino, tra l’altro, ma che non ha avuto poi molto successo e si chiamava “Buon Natale  a un angelo”, un pezzo in perfetto stile Barreto.

Che genere di musica proponevano i locali in cui suonava Barreto jr. negli anni Cinquanta?

Pezzi da night club, e lui in particolare interpretava brani con cadenza da samba lenta, perché la bossa nova non c’era ancora.

Quando dice samba lenta immagino intenda dire qualcosa simile al bolero latino, magari italianizzato, brani come Besame mucho, Historia de un amor o Solamente una vez.

Sì, esattamente, Barreto faceva un repertorio con canzoni e musiche di quel genere lì, Visino de angelo,  Buenas noches mi amor, La più bella del mondo, Besame asì…

Dopo questa infatuazione per Barreto jr. arriva il suo vero grande amore, il Brasile.

Andando avanti con gli anni, quindi diciamo dalle fine dei Cinquanta, inizio Sessanta, mi  innamorai pazzamente del Brasile: Jobim e tutti i suoi “derivati” e si può dire che ho mangiato pane e Brasile per molti anni. Le dirò di più: quando facevo il mestiere dell’autore per campare, tutti dicevano che ero bravo, ma scrivevo troppe sambe e troppe bossanove, che in quel periodo non interessavano. Finchè arrivò un bel momento e scrissi con Giorgio Calabrese due pezzi in dialetto genovese perché ritenevamo che le assonanze fossero più simili al portoghese brasiliano: Mae Ben e A Rappa, che sono stati entrambi incisi da Bruno Lauzi,  e Mae Ben ripresa anche da Gino Paoli.

Lei quindi ha condiviso esperienze con artisti più o meno appassionati di musica brasiliana, da Bruno Lauzi a Gino Paoli alla Vanoni?

Certo, ma un grandissimo amante e cultore di quella musica era Sergio Bardotti, che era talmente influenzato da quel mondo, da quella cultura musicale che parlava con accenti brasiliani.

Quali sono gli artisti che l’hanno fatta innamorare del Brasile e come li ha conosciuti?

Tom Jobim, che ho già citato, poi Vinicius de Moraes, Joao Gilberto e tutti i principali protagonisti di quel movimento. Io compravo tutti i dischi di musicisti brasiliani che arrivavano nei negozi e li compro ancora. La lista può continuare con Maria Bethania, Elis Regina, Gal Costa, mi piace molto Eliane Elias, Milton do Nascimiento. Un’altra meravigliosa artista che ho scoperto tardi è Tania Maria e che ho ascoltato quest’estate a Serravalle. Di lei mi piacciono i suoi unisoni di pianoforte, chitarra e voce, che sono incredibili.

Ha mai nutrito qualche sogno particolare?

Sì, il mio sogno sarebbe aver un brano inciso da uno di questi cantanti.

Compositore di successo,  con canzoni interpretate da grandi nomi come Fred Buscaglione (Sogno d’estate), Mina – (foto a lato) (Coriandoli), Connie Francis e Betty Curtis (Aiutami a piangere), tanto per citarne qualcuno, ma a un certo punto decide di lasciare la musica. Perchè?

E’ stato dopo Quando m’innamoro, anno 1968,  che è stato un successo mondiale poi ripreso nel 2006 da Andrea Bocelli il quale gli ha fatto di nuovo girare il mondo, dopo Englebert Humperdinck.  Abbandonai la musica per diversi motivi: primo,  l’idea di aver venduto  milioni di dischi e poi magari andare da un cantante non affermato con una nuova proposta, che magari te la faceva pesare e con la prospettiva di vendere 3000 copie…  beh, capisce che era poco entusiasmante; secondo, non mi divertivo più andare in giro perché i direttori artistici delle case discografiche erano dei ragazzotti  che non capivano tanto di musica; terzo motivo, morì mio padre e quindi dovevo occuparmi dell’azienda di famiglia, cosa che ho fatto con molto impegno nonostante non fosse il mio mestiere.

Quindi si trova a mollare la musica da ogni punto di vista.

Dimenticavo di aggiungere che durante quel lungo periodo fuori dalla musica mi sono occupato anche di altre cose, nel mondo dello sport, ad esempio, diventando un dirigente sportivo a livello italiano ed europeo: presidente del Circolo Golf Milano, presidente della Federazione Italiana Golf  e anche della Federazione Europea Golf. Finiti tutti questi incarichi, che mi hanno preso circa 30 anni di vita, mi sono ritrovato alla soglia dei 70 anni a voler riprendere la musica, che era la mia grande passione e mi sono guardato in giro. Ho visto che l’autore di canzoni non esiste più perché chi canta crede di essere così bravo da potersi scrivere le sue canzoni senza regalare le royalties agli autori.  E questa, secondo me, è la ragione per cui non esce più un successo dai confini italiani …  Quindi preso atto di questa situazione sono tornato al mio grande amore, il jazz, e ho deciso di fare il produttore. Ho trovato cantanti e orchestre buone,  ho trovato un grande feeling con Enzo Vizzone, titolare di Egea. E da allora ho già fatto “Quando m’innamoro in jazz” con la Colours Jazz Orchestra, una big band, secondo me, di livello mondiale; poi un disco già uscito e uno che sta per uscire con il pianista Renato Sellani; infine, “Quando m’innamoro in Samba” con la Latin Colours Jazz Orchestra.  Tra un mese vado in sala d’incisione a Genova dove facciamo un altro “Quando m’innamoro in  Duo”, perché Vizzone sostiene che il filo conduttore è sempre “quando m’innamoro”, e si tratta di un disco con Franco Ambrosetti e Dado Moroni, due jazzisti fenomenali. Hanno scelto loro i pezzi, alcuni dei quali non avrei mai pensato,  e tra quei brani c’è un mio pezzo vecchio che sto dichiarando alla Siae in questi giorni e che finora non avevo mai depositato.

Già, Latin Colours Jazz Orchestra. Come è stata formata?

Vista la bravura della Colour Jazz Orchestra ho deciso di prendere alcuni di costoro, tra cui Massimo Morganti, trombonista, leader, direttore di queste due formazioni, musicista straordinario; ai sassofoni Simone La Maida, bravissimo; poi altrettanto bravi, Massimo Manzi, batterista; Emilio Marinelli, pianista, Gabriele Pesaresi al basso, e i miei fedelissimi amici Franco Ambrosetti, uomo di grande di sensibilità musicale, interprete incredibile; il violoncellista del quartetto di Cremona, che si chiama Giovanni Scaglione, (lui si diverte come un pazzo a suonare con noi), l’armonicista Luigi Ferrara, e la vocalist Laura Avanzolini. Ma l’idea vincente è stata quella di incorporare due eccellenti artisti brasiliani per dare autenticità al progetto: sono il chitarrista Roberto Taufic e il percussionista Gilson De Silveira,  due musicisti che tra l’altro lavorano in Italia. Purtroppo è successo che nel bel mezzo di questo progetto mi hanno obbligato a cantare un pezzo.

Per fortuna, e non purtroppo, perché mi lasci dire che il portoghese maccheronico (cito le sue parole dalla presentazione) con cui canta Cadendgi Dao Balcao è musicalmente molto efficace.

Efficace sì, ma immagino, e spero, che lei non avrò capito il testo, perché è un mio adattamento abbastanza spinto che riprende la tenzone poetica tra Stacchetti e Carducci, secondo alcuni, altri sostengono essere un testo anonimo, comunque fin dai tempi del liceo ero affascinato da quel testo popolare.

E i due brasiliani che impressione hanno avuto della sua performance vocale brasileira?

Ridevano come pazzi. E sono stati proprio loro due e Morganti a spingermi a cantarla, e io un po’ di vergogna l’avevo e ce l’ho ancora, ma…

Invece dobbiamo complimentarci sia per la sua interpretazione, sia per l’orchestrazione, che per la ricchezza di accenti e timbri della cultura ritmica carioca incastrati a meraviglia nell’insieme, come  ad esempio il muggito della cuica, membranofono afro-brasiliano, o i colori di altri strumentini tipici del samba.

Grilli, lei mi è già simpatico, perché si è accorto della cuica, ohhhh, e  riconoscere questi dettagli,  queste particolarità,  vuol dire saperne moltissimo.

La ringrazio, ma andiamo avanti.

Adesso le regalo una primizia: io faccio circa un disco all’anno, quest’anno ne usciranno due perché c’è il volume 2 di Renato Sellani (foto) che è già inciso e quindi dobbiamo solo pubblicarlo, e poi lancio un lavoro in duo con Ambrosetti e Moroni. Il prossimo anno vorrei fare un disco mio, cantato da me, assieme ad alcuni di questi artisti e sarà un album con i profumi Do Brasil.

In Quando m’innamoro in samba, quello che è saltato al mio orecchio è che in alcuni pezzi la clave della bossa e la clave cubana vengono fuse assieme, c’è una sorta di ibridazione. Esempio, il brano 4, dedicato a un suo amico, ritmicamente è più latino che brasiliano. Non vorrei sbagliare, ma azzarderei nel dire che è un bolero-son.

E credo che abbia ragione e le dirò che quel brano, Buon Viaggio (for Mario), ha una storia triste e adesso che ne parliamo mi viene la pelle d’oca. Le anticipo che di quel pezzo tra pochi giorni uscirà solo nella rete una versione suonata al pianoforte da me. Inoltre, sempre solo in rete, esce una Messa che ho composto e si chiama “Holy Mass in jazz”. Verranno eseguite due versioni: una cantata dal coro della mia parrocchia e l’altra cantata da me.

A parte alcuni pezzi con accenti in stile “latin”, il nucleo centrale ruota comunque attorno al samba, alla bossa: Ho sognato d’amarti (samba), Cadendgi dao balcao (bossa-jazz) eccetera…

Sì, non potevamo spiegare nel dettaglio gli stili suonati e ho scoperto che lei ne sa moltissimo di quel mondo, davvero sorprendente. Ma lei suona?

In gioventù ho avuto una breve parentesi da orchestrale, ma niente di che.

Se vuole divertirsi, cerchi nella rete, in Youtube, Ho sognato d’amarti nella versione originale di Bruno Martino e secondo me si sta rigirando nella tomba, per come l’ha trattato La Maida, ma io trovo entusiasmante questa nuova versione,  è diventata un’altra canzone.

Verrai Verrai, Verrai!, l’ultima traccia, è un buon samba.

È stato scritto all’inizio degli anni Sessanta e tutto questo mi diverte. A 20 anni debbo dire che già scrivevo con delle armonie difficili, facile alle interpretazioni ma qualche volta difficili all’orecchio. E poi sa, io ho lavorato con questo grande paroliere che era Leo Chiosso, paroliere di Buscaglione. E tra l’altro ho fatto un pezzo inciso da Fred. Sogno d’estate.

Ribadisco, il punto forte e l’asse portante che fa la differenza del progetto … in Samba è il binomio brasiliano che conferisce sapori autentici a tutto il menù dell’album.

Assolutamente sì, ed è per quello che abbiamo voluto quei due ottimi musicisti.

Quando m’innamoro in Samba avrà un secondo album oppure si esaurisce qui il suo progetto sulla musica brasiliana?

Se dipendesse da me io ne farei un altro subito, purtroppo va diversificata l’attività di produttore, perché bisognerà portare a casa qualche euro oltre ad averne spesi molti. Tuttavia il seguito potrebbe esserci, ma non quest’anno perché usciremo con i due dischi già citati poc’anzi.

In lei convivono due anime, quelle di jazzista e di sambista. Una cosa che ho notato durante la conversazione, e che mi incuriosce, è questa: non ha mai nominato Stan Getz, che invece ha incrociato con successo la musica brasiliana. Cosa risponde in proposito?

Sì, l’ho apprezzato molto però… però….  Le posso dire, e magari sarò l’unico al mondo, che il disco Sinatra & Jobim, pur adorando i due separatamente, non ha incontrato particolarmente il mio gusto musicale; non mi piace la Ella Fitzgerald quando canta Desafinado, né Sarah Vaughan quando canta interpreta quel repertorio…  sono due cose diverse e, secondo me , lontane dalle espressioni musicali a cui erano abituate.  E’ difficile metterle e condirle insieme. Getz era un sassofonista bravissimo, un grandissimo, il primo disco che ha fatto con Astrud Gilberto era una cosa interessante. Ripeto, Stan Getz, bravo, però si vede che hanno fatto un lavoro commerciale. Almeno la mia anima la sentiva così. In conclusione, io preferisco un disco solo di Jobim piuttosto che quelli troppo commerciali.

Quante volte è stato in Brasile? E di questo paese, piccolo continente, quale realtà le piace di più? Il portoghese-brasiliano l’ha imparato sul campo o studiandolo?

Le sembrerà strano, ma non sono mai stato in Brasile, bisogna però che mi sbrighi per andarci perché il tempo stringe. Parlo poco il brasiliano ma essendo genovese ho facilità a comprenderlo, poi ho moltissimi amici brasiliani e quindi ho imparato molto dalle conversazioni.

un comentario »

  • emanuele kettlitz ha detto:

    Buongiorno
    ho conosciuto il maestro circa 40 anni fa sciando insieme a Claviere. Poi mia mamma e sua moglie cucca divennero amiche condividendo la passione per gli Airedale Terrier e mio fratello invece per la filgia Ilaria (se ricordo bene).
    mamma e papà non ci sono più, mamma è andata avanti nel 2011 e papà nel novembre scorso.
    Mi piacerebbe rientrare in contatto col Maestro e con Cucca sperando che si ricordino e che abbiano volgia di dedicarmi qlc minuto. Grazie, a presto Emauele K.

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